19 Aprile 2021

Covid: bisognerà attendere il 2022 per la produzione “autarchica” dei vaccini

Di NS
L’Italia sta cercando di recuperare il ritardo, ma la trafila delle autorizzazioni e la carenza della materia prima ritardano i tempi

di U.S.V

Prima lo scouting, adesso i tavoli per gli accordi. Pur in ritardo, l’Italia ha finalmente avviato la corsa alla produzione nazionale di vaccini anti-Covid. Al Mise da poco meno di due mesi si lavora per accorciare i tempi, mentre alcuni nostri partner europei hanno iniziato a darsi da fare cinque o sei mesi fa. Morale? Data anche la trafila di validazioni e controlli, è lecito attendersi le prime dosi di preparati “made in Italy” solo a partire dall’inizio dell’anno prossimo.

Il ministro allo Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, ha chiaro l’obiettivo di costituire un Polo nazionale pubblico-privato in grado di “garantirci l'autosufficienza in termini di produzione di vaccini”. La previsione sulle tempistiche, 6-8 mesi dalla firma dei contratti, è stata invece confermata da Massimo Scaccabarozzi, presidente Farmindustria e amministratore delegato di Janssen Italia: è chiaro che si punta molto sui contratti in conto terzi, in attesa di capire quali decisioni saranno prese sulla sospensione dei brevetti e sulle licenze obbligatorie, soluzione avversata da Big Pharma. Dunque, il traguardo non sarà tagliato prima dell’avvio del 2022. Troppo tardi? Probabilmente no, visto che si va verso uno scenario nel quale dovremo continuare a vaccinarci contro il Covid e le sue varianti anche nei prossimi anni. Senza dimenticare che ormai anche i più ottimisti non escludono il possibile avvento di altri virus e di altre pandemie in un futuro non troppo lontano.

La chiamata alle armi del Mise – benedetta pure dagli incontri di Giorgetti con il Commissario Ue Thierry Breton, responsabile della task force europea sui vaccini – ha coinvolto finora almeno quattro aziende in grado di attivare bioreattori e altre per l’infialamento. C’è in pole position la Catalent di Anagni che già oggi infiala Astrazeneca e ha stipulato un accordo con Janssen. Poi, unica al Sud, la Lachifarma di Lecce che sta riconvertendo uno degli stabilimenti ed è stata contattata da diverse società straniere detentrici di brevetto per vaccini contro il Covid. L’azienda salentina dovrebbe anche contare su un sostegno finanziario della Regione Puglia. Già diverso tempo fa, inoltre, era uscito il nome dell'americana Thermo Fisher Scientific, con stabilimenti a Monza e Ferentino, nel Lazio, azienda che sarebbe in grado di produrre sia vaccini adenovirali che a Rna messaggero. Sempre nel Lazio c’è poi la Haupt Pharma di Latina, filiale italiana della multinazionale tedesca Aenova che produce farmaci per conto terzi e che sta riconvertendo un reparto. Per conto terzi produce pure la Fidia farmaceutici di Abano Terme.

Secondo i produttori, uno degli ostacoli da superare per accelerare il processo di riconversione industriale è la carenza del bulk, la materia prima, il principio attivo e degli altri componenti “all’ingrosso” del vaccino. Non a caso, il Governo Draghi ha intenzione di avviarne la produzione entro l’anno. Sembra inoltre che lo stesso esecutivo, secondo quanto riportato oggi dal Financial Times, voglia puntare soprattutto sui sieri a mRna, in linea con gli orientamenti che paiono prevalere nell’Unione europea.

Per la verità, va detto che ReiThera, il vaccino italiano in via di sperimentazione (giunto alla fase 2), è basato su vettore virale adenovirus, proprio come AstraZeneca, Johnson&Johnson e Sputnik. Dunque, sarà difficile immaginare di poter fare gli schizzinosi. Tra l’altro, lo stesso Sputnik è già oggetto di un accordo con la Russia che potrebbe condurre alla sua produzione presso lo stabilimento di Adienne Pharma and Biotech, in provincia di Monza e Brianza. Se il preparato di Mosca venisse approvato con tempismo dalle autorità sanitarie europee e italiane, l’avvio della produzione potrebbe avvenire addirittura in estate.

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