13 Luglio 2021

La pandemia, la sanità e la lezione ancora da imparare sulla carenza di personale

Di NS
La dotazione è stata rafforzata di 83mila unità durante l’emergenza, ma l’80% è precario e l’emorragia è subito ripartita. Intanto mancano a regime almeno 160mila infermieri

di Ulisse Spinnato Vega

Lo abbiamo sentito dire durante tutto il periodo dell’emergenza Covid: stop con i tagli alla sanità, la pandemia deve servirci da lezione. Bene, ora che il virus ha allentato la morsa, salvo possibili recrudescenze, siamo davvero pronti a dar seguito alle tanto sbandierate buone intenzioni?
Il settore sanitario, come tutta la Pa, ha subito duramente la scure dell’austerity: basti dire che alla fine del 2018 il livello del personale era sceso di oltre 41mila unità rispetto al 2008. Mentre tra il 2012 e il 2017 tutti i dipendenti (sanitari, tecnici, professionali e amministrativi) a tempo indeterminato presso Asl, Aziende ospedaliere, universitarie e Irccs pubblici erano passati da 653mila a 626mila, secondo il Rapporto Crea 2020.   

Poi, per fronteggiare l’emergenza, sono state utilizzate procedure straordinarie di reclutamento, in particolare a beneficio dei reparti ospedalieri di virologia e pneumologia, oltre che per le reti di assistenza territoriale. Così, a fine aprile risultavano essere state assunte, a vario titolo, 83.180 unità di personale, come certificato dalla Corte dei conti. Tra loro, oltre 21mila medici e quasi 32mila infermieri, oltre a circa 30mila operatori sociosanitari e altre professionalità. Peccato che, tra essi, solo 1350 fossero i medici a tempi indeterminato, appena 8.757 gli infermieri stabili e circa 7mila gli appartenenti alle altre figure. In pratica, solamente il 20% degli assunti ha una prospettiva di lungo termine. L’emorragia, peraltro, è iniziata subito ed ecco il passo del gambero: gli 83mila reclutati di aprile erano già diventati 76mila a maggio.  

Eppure l’Italia è ben posizionata nella classifica europea per quanto riguarda il rapporto tra medici e abitanti, mentre sul personale infermieristico la situazione è ben diversa. Abbiamo 6,7 infermieri ogni mille abitanti, contro i 10,8 della Francia e addirittura i 13,2 della Germania. Il Pnrr propone interventi di riforma radicale del Ssn, nell’ottica della capillarità territoriale, della formazione e della digitalizzazione. E calcola un fabbisogno di infermieri al 2027 (cioè all’indomani del Piano) in crescita di circa 70mila unità rispetto alla fotografia pre-Covid: da 332mila e 402mila. Peccato che per raggiungere il valore medio di riferimento Ocse, pari a 8,8 unità per mille abitanti, ne servirebbero oltre 524mila. Tuttavia, lo sforzo del Recovery plan sul personale infermieristico e sanitario in genere, al di fuori della spinta sulle borse di studio e sulla formazione, è marginale, perché l’idea di base è quella di rafforzare gli investimenti e non la spesa corrente.

Lo stesso Rapporto Crea, infatti, giudica ben più pesante la carenza di infermieri nel Servizio sanitario italiano: da un minimo di quasi 163mila unità a un massimo di oltre 272mila a seconda che si consideri la dotazione ogni mille abitanti oppure ogni mille abitanti over75. Andrea Bottega, segretario nazionale del Nursind, conferma la gravità dei numeri: “Considerando una età pensionabile a 67 anni, si stima che 26mila infermieri andranno in pensione entro il 2026. Ma il dato empirico ci dice che il pensionamento arriva prima, dunque il buco da coprire è e sarà maggiore. Peraltro, le dotazioni organiche sono gravate dal peso di un’età media alta, oltre i 50 anni, che incide sull’idoneità al servizio oppure causa spesso assenze per malattia e per utilizzo della legge 104. Inoltre, la stragrande maggioranza degli infermieri sono donne che hanno giustamente diritto ai periodi di maternità, dunque sono formalmente in organico, ma non disponibili come forza lavoro”.

Nel 2027, quando saranno terminate le risorse del Pnrr, l’assistenza sanitaria territoriale dovrà mantenersi soltanto grazie ai finanziamenti nazionali. A regime, il personale aggiuntivo delle Case della Comunità, dell’Adi e degli Ospedali di Comunità costerà circa 2,08 miliardi l’anno. Non tutti i soldi sono stati trovati finora e il Governo conta di reperire le risorse mancanti attraverso l’attuazione di un cosiddetto Piano di sostenibilità. In ogni caso, rimane il problema di un reclutamento che dia prospettive stabili. Il Dl 80 voluto dal ministro della Funzione pubblica, Renato Brunetta, punta su procedure più rapide e digitalizzate: ma è comunque centrato su assunzioni a termine, connesse alla realizzazione del Pnrr (anche se con una riserva di posti fino al 40% nei concorsi successivi per chi abbia svolto servizio nella Pa per almeno 36 mesi). Dunque, bisogna premere sul pedale del reclutamento ordinario per rafforzare stabilmente le piante organiche.

Per quanto riguarda infine la formazione dei laureati per infermieri, il numero di borse di studio previste per il prossimo anno accademico sarà di 17.133 (oltre a 264 infermieri pediatrici). Un valore in aumento rispetto ai 16.013 dell’anno scorso. Considerando questi dati, il totale degli infermieri che saranno formati nel 2026 potrebbe essere intorno alle 100mila unità. Sufficienti magari a coprire il turn over, ma non abbastanza per compensare le carenze strutturali. Insomma, forse la pandemia ha ancora qualcosa da insegnarci.