17 Settembre 2021

Incubo green pass, la via crucis di chi non riesce a ottenerlo

Di NS
Mentre il Cdm approva all'unanimità l'estensione del certificato verde a tutti i lavoratori pubblici e privati, sono in tanti ancora gli italiani ingabbiati nelle pastoie burocratiche

di Marco Assab

Mentre si allarga ancora il perimetro di applicazione del green pass - ieri il Consiglio dei ministri ha approvato all'unanimità il decreto che lo estende a tutti i lavoratori pubblici e privati (la bozza) -, cresce anche la platea degli ‘invisibili’, persone che vorrebbero averlo, ma non possono. Non sono no vax. Non sono contro il certificato verde. Anzi, sono cittadini virtuosi che hanno osservato regole e protocolli. Eppure si ritrovano nello stesso calderone di chi non vuole vaccinarsi. Magari sono persone che hanno vissuto in prima persona l’esperienza del Covid-19, soffrendone fisicamente e psicologicamente. Ma il tormento non è finito. Perché dopo la malattia arriva la burocrazia, fardello endemico del nostro Paese, a umiliarli ed esasperarli. Sono migliaia i cittadini che, pur avendone pienamente diritto, non riescono a ottenere il green pass o, se lo ottengono, si ritrovano in mano un documento sbagliato.

Le casistiche denunciate dagli organi di stampa ormai si sprecano. Molte hanno del grottesco. C’è, ad esempio, chi ha contratto inconsapevolmente il Covid, da asintomatico, senza risultare positivo a un tampone. Ha scoperto però la pregressa infezione con un test sierologico, che ha evidenziato la presenza di anticorpi, quindi può fare una sola dose di vaccino. Mancando però un primo tampone positivo registrato viene meno anche la possibilità di ricevere un green pass valido.

Altro caso quello di chi, dopo l'inoculazione della prima dose di vaccino, ha contratto il Covid e si ritrova un certificato con la dicitura “1 dose su 2”, oppure della durata di soli sei mesi. Su questo fronte ha provato a far chiarezza una circolare del ministero della Salute del 9 settembre, secondo la quale se l’infezione è avvenuta entro 14 giorni dalla prima dose “è indicato il completamento della schedula vaccinale con una seconda dose da effettuare entro sei mesi (180 giorni) dalla documentata infezione”; al contrario, se l’infezione si è verificata oltre il quattordicesimo giorno dalla somministrazione della prima dose “la schedula vaccinale è da intendersi completata in quanto l’infezione stessa è da considerarsi equivalente alla somministrazione della seconda dose”. Tutto chiaro, in teoria, ma chi ha un certificato sbagliato, in scadenza tra pochi giorni, a chi deve rivolgersi, precisamente, per vederselo aggiornato?

Ci sono casi poi in cui la burocrazia inefficiente sembra proprio accanirsi, imperterrita e testarda: c’è chi ha avuto il Covid con tampone positivo che, si presume, sia stato registrato. Ma, dopo aver fatto l’unica dose di vaccino prevista, si ritrova comunque in mano un green pass dove c’è scritto impietosamente “1 dose su 2”. Al danno poi si aggiunge la beffa: il rimpallo delle responsabilità, apprezzatissimo sport nazionale al pari del gioco del calcio. Inizia per il cittadino un’odissea fatta di telefonate inconcludenti, mail ignorate, la collezione del “si rivolga a”, o del “non è di nostra competenza”, o del “provi a”, oppure del “le linee guida non sono chiare”. E il cittadino prova e riprova: chiede all’Asl, al centro vaccinale, alla farmacia di fiducia, al medico di famiglia, chiama il 1500, scova improbabili indirizzi mail di ministeri, sportelli, uffici.

Se non riesce a risolvere l’ultima risorsa che resta al cittadino esasperato è il “fai da te”, il passaparola, l’aiuto tra coloro che si trovano nella stessa situazione. Cercando su Facebook si trova il gruppo “Problemi rilascio green pass”, che conta oltre 1500 iscritti. “Scettici e no vax”, si legge nelle informazioni, “sono cortesemente pregati di non iscriversi”. Le testimonianze riportano tante e diverse situazioni, tutte con un denominatore comune: una burocrazia inefficiente, che svilisce chi ha rispettato regole, protocolli, indicazioni, e si ritrova nella stessa condizione di chi invece non se ne cura affatto.

Altro limbo sospeso, denunciato dai media nei giorni scorsi, è quello in cui si trovano molti italiani residenti all’estero, iscritti all’Aire (Anagrafe italiani residenti all’estero), che nei rispettivi Paesi hanno completato il ciclo vaccinale, ma non possedendo la tessera sanitaria hanno difficoltà a ricevere il green pass. Ma il caso forse più indicativo è quello di chi ha effettuato le due dosi di vaccino in due Regioni italiane differenti, e si ritrova un green pass errato, ad esempio con due prime dosi, oppure con una soltanto. “Le Regioni non comunicano”, a volte si sentono dire. Come se fosse accettabile avere, nello stesso Paese, 21 sistemi sanitari diversi, 21 repubblichette che non solo si scambiano malamente le informazioni, ma che, come abbiamo visto nel corso della pandemia e della campagna vaccinale, spesso procedono in direzioni diverse nonostante univoche linee guida emanate dalle istituzioni centrali. Ma questo, è risaputo, non è un problema di immediata soluzione. Servirebbe una riforma del titolo V della Costituzione. Più facile, in questa fase storica, andare su Marte che riformare la Costituzione con un ampio consenso degli emicicli. Si vedrà.

Intanto, però, il problema nel quale si ritrovano i cittadini prigionieri del green pass non riguarda più soltanto una pizza al ristorante. Riguarda tutta una serie di attività fondamentali, tra cui gli spostamenti, ma soprattutto riguarda il lavoro. Riguarda ciò che qualifica e dà dignità a una persona inserita in una società. Con l'estensione dell'obbligo di green pass a tutti i lavoratori del settore pubblico e privato, il problema è destinato ad ampliarsi, a meno che non si intervenga subito per correggere queste storture. A poco serve calmierare il prezzo dei tamponi, che rappresentano l’unica alternativa. La questione, oltre che economica, è di principio: una persona che si vaccina e segue i protocolli non dovrebbe proprio trovarsi nella condizione di dover ripetere tamponi di continuo per avere una vita normale.

Il problema, è bene precisarlo, non è rappresentato dal green pass in sé, strumento utile, forse indispensabile, per portare a compimento la campagna vaccinale e sperare in un inverno relativamente tranquillo. Il problema è l’imposizione di obblighi ai quali, pur volendo e nonostante ogni sforzo, i cittadini non riescono ad adeguarsi, per colpa di chi, invece, dovrebbe rendere semplice tutto questo. Il problema è aver rispettato, con sollecitudine, ogni regola, e vedersi comunque relegati nel girone degli accidiosi.