07 Febbraio 2022

Pnrr: grana medici di famiglia sul riassetto dell’assistenza territoriale

Di NS
Regioni contro Ministero, governatori contro governatori e professionisti contro tutti. La querelle sull’inquadramento giuridico mette in discussione le scadenze del Recovery plan 

di Ulisse Spinnato Vega

Il premier Mario Draghi chiede a tutti i ministri di stringere i bulloni della macchina che deve condurre alla realizzazione del Pnrr, ma sul fronte della sanità non poche nubi si addensano all’orizzonte del Recovery plan. I circa 20 miliardi messi a disposizione della Missione 6 vanno indirizzati su obiettivi ben precisi che spaziano dalla digitalizzazione del Servizio sanitario alla telemedicina, dall’acquisto di tecnologia per gli ospedali al rilancio del Fascicolo sanitario elettronico. Eppure il capitolo più cruciale è che quello che riguarda il riassetto dell’assistenza territoriale.

Il Ministero ha già chiamato in causa le Regioni che entro fine febbraio dovranno completare la messa a punto dei piani operativi sulle varie direttrici di azione, mentre sono già stati chiusi i contratti relativi alla piattaforma nazionale per la telemedicina. Tuttavia, la data cerchiata in rosso sul calendario è il prossimo 30 giugno, quando il dicastero di Roberto Speranza dovrà aver emanato il decreto che ripensa la medicina di territorio, vero buco nero durante la pandemia. In ballo ci sono complessivamente 7 miliardi, ma pesano ancora le divergenze tra Governo e Regioni su come inquadrare i medici di medicina generale, un nodo che sta ritardando il riassetto organizzativo, con problemi in primis per le nuove Case della comunità. Su queste ultime, va ricordato, sono stati appostati dal Pnrr 2 miliardi e l’obiettivo è mandarne a regime 1288 entro metà del 2026.

I medici di famiglia, dunque, non ci stanno. Già esasperati dalla pressione subita nei due anni di pandemia e dai compiti aggiuntivi cui hanno dovuto ottemperare, protestano contro la prospettiva di passare dal regime della convenzione all’inquadramento diretto come dipendenti del Ssn per entrare nelle Case della comunità. C’è da dire che anche Speranza è contrario, quantomeno al rapporto di dipendenza erga omnes che era l’idea originaria delle Regioni: non a caso il ministro si è fatto promotore di un documento che le Regioni stesse avrebbero dovuto approvare a metà gennaio e che prevede un orario di 38 ore settimanali per i medici di base, di cui 20 nello studio, 12 nei distretti e 6 nelle Case della comunità, con il mantenimento della convenzione e la conferma del rapporto fiduciario con i pazienti.

Il testo aveva il via libera degli assessori regionali alla Sanità, dunque la strada per la sua approvazione sembrava in discesa: i governatori, però, hanno fatto saltare tutto di fronte alla clausola che consente al Ministero di sostituire le Regioni se entro sei mesi non trovassero l’accordo con i sindacati sul nuovo Acn (Accordo collettivo nazionale), ossia la nuova convenzione, necessario per non incappare in ritardi sul Pnrr. Il problema è che la Conferenza dei governatori si è spaccata anche al suo interno, con Campania, Lazio, Toscana e Veneto contrari al documento di Speranza e tetragoni nel puntare sul rapporto di dipendenza, anche solo come opzionale, per i medici. Mentre Piemonte, Lombardia ed Emilia Romagna si sono schierati dalla parte del ministro. In ogni caso, a inizio febbraio i presidenti hanno rilanciato, fermo restando il mantenimento del regime convenzionale, con la possibilità di assunzione diretta dei professionisti per le Case della comunità e le aree carenti. Dunque, il confronto dialettico con Speranza deve ancora trovare uno sbocco che a questo punto non può più tardare.

Nel frattempo le sigle sindacali della medicina generale non sono certo rimaste a guardare. Dopo molte polemiche è stato chiuso appena pochi giorni fa l’Acn per il triennio 2016-2018 con il via libera di tutte le rappresentanze, ma le lancette scorrono e la nuova convenzione 2019-2021, pur su un triennio ormai finito, va firmata entro giugno, come detto, per non perdere il treno del Recovery plan. Essa infatti incorpora molte delle modifiche dettate dal Pnrr. Tuttavia, i camici bianchi di famiglia insistono nel chiedere di “tornare a fare i medici” e alzano il tiro “contro i molti compiti impropri scaricati sulla categoria”, spiegano tra gli altri la Federazione italiana sindacale medici uniti-Fismu e la Cisl Medici per la Medicina generale: “Gli ambulatori dei medici di famiglia sono presi d’assedio dai pazienti, già da molti anni, per compiti impropri, ma con le nuove normative per l’emergenza Covid e sul Green pass questa situazione è peggiorata a scapito dell’assistenza sanitaria per i cittadini”.

Non a caso, il primo febbraio scorso Fp Cgil Medici e Dirigenti Ssn, Smi, Simet, Federazione C.I.Pe , S.I.S.Pe e S.I.N.S.Pe hanno dichiarato lo stato d’agitazione, con la Cisl che ha preso le distanze. E hanno lamentato: “Gli insostenibili carichi di lavoro, aggravati da procedure amministrative che sottraggono tempo preziosissimo all'assistenza, l'organizzazione frammentata, lo scarso sostegno dei sistemi sanitari e la mancanza di tutele contrattuali, impediscono ai medici di medicina generale e ai pediatri di libera scelta, di garantire un'offerta di salute multidimensionale e integrata”. Ma le sigle hanno aggiunto: “Serve una riforma profonda della medicina generale e delle pediatria di libera scelta, incentrata sulla multi professionalità e sulla presa in carico delle cittadine e dei cittadini, che non rintracciamo nella proposta elaborata dalle Regioni e dal ministero della Salute”.

Eh sì, perché i medici di famiglia non vogliono abbandonare il regime della convenzione per la “deriva impiegatizia” che secondo molti di loro scaturirebbe dal rapporto di dipendenza diretta cui le Regioni tengono tanto. Anche perché, dicono, bisognerebbe poi fare i concorsi per il reclutamento o una sanatoria per i professionisti che volessero aderire al rapporto subordinato. Tuttavia non gradiscono nemmeno l’assetto convenzionale attuale che sta conducendo, è opinione diffusa, alla “iperburocratizzazone che la pandemia ha reso solo più irritante e devastante”, prendendo in prestito le parole della stessa Cisl Medici. E non apprezzano neanche la proposta di Speranza con il monte di 38 ore settimanali, come da dipendenti, ma “senza le tutele della dipendenza”, lamentano in tanti.

Non per niente, a Pesaro è già scoppiata la polemica con i medici di base dello Snami in rivolta contro la nuova convezione, in vigore a giugno, che prevede 12 ore settimanali nelle Case della salute e sei in guardia medica oltre alle 20 ore normali a studio. Nel frattempo, dal canto loro, le Regioni più virtuose proseguono con una prima implementazione di quanto previsto dal Pnrr: la giunta del Veneto, infatti, ha già approvato l’individuazione delle sedi per 30 Ospedali di comunità e 99 Case della comunità con una équipe multidisciplinare di medici specialisti, infermieri e assistenti sociali.

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