05 Aprile 2022

Pnrr: in rampa di lancio il Dm 71 sull’assistenza sanitaria territoriale

Di NS
Dal 16 aprile in poi il Governo potrebbe adottarlo anche senza l’intesa con le Regioni. La Campania ha posto il problema della carenza di personale: un nodo che rischia di essere esiziale

di Ulisse Spinnato Vega

Ormai dovrebbero mancare una decina di giorni o poco più. A partire dal 16 aprile, infatti, il Governo potrebbe varare il Dm 71 che qui pubblichiamo nella sua ultima bozza e che fissa i nuovi standard organizzativi e qualitativi per l’assistenza sanitaria territoriale. Manca ancora l’accordo in Conferenza Stato-Regioni, ma non per motivi tecnici legati al testo: la sola Campania, infatti, si è impuntata sulla questione delle risorse per il personale che servirà a tenere in piedi il nuovo assetto. Si tratta peraltro di un nodo non secondario, dato che sono sotto gli occhi di tutti le incognite connesse all’oggettiva carenza di medici e infermieri a causa dei tanti pensionamenti e dello scarso ricambio, affidato a pochissimi laureati. In ogni caso, il Dm è andato per la prima volta in Stato-Regioni il 16 marzo scorso e di conseguenza il Governo potrebbe comunque dare il via libera, anche d’imperio, a partire dal prossimo 16 aprile.

Il decreto altro non è che il regolamento messo a punto sulla scorta della Missione 6, Componente 1 del Pnrr, dedicata proprio alle reti di prossimità, strutture e telemedicina per l'assistenza sanitaria territoriale. Ci sono 7 miliardi di euro in ballo e il testo governativo in sostanza prevede “la definizione di standard strutturali, organizzativi e tecnologici omogenei per l’assistenza territoriale e il sistema di prevenzione salute ambiente e clima e l’identificazione delle strutture ad essa deputate”. Tra l’altro, la cornice del Pnrr è stata arricchita dall’ultima legge di Bilancio che ha autorizzato una spesa crescente dai 90,9 milioni dell’anno in corso fino al miliardo a regime a decorrere dal 2026.


La novità principale, come si sa, riguarda le Case della comunità quale punto di riferimento di prossimità per la risposta ai bisogni di natura sanitaria e sociosanitaria. Dovrebbero nascerne 1.350 entro la metà del 2026 e saranno collegate ai medici di base, al numero unico e ai presidi di telemedicina. Le Cdc introducono un modello organizzativo di approccio integrato basato su un’équipe multiprofessionale territoriale che nel suo assetto minimo include il medico di medicina generale/pediatra di libera scelta, il medico specialista e l’infermiere. Ovviamente, maggiore è la complessità clinico-assistenziale maggiori saranno le figure coinvolte e in continua evoluzione in relazione al mutare della malattia e allo stato di fragilità espressa. Quindi possono aggiungersi psicologi, assistenti sociali e altri professionisti sanitari. Fondamentale è appunto l’integrazione delle Case della comunità con i servizi sociali, secondo la logica di una presa in carico olistica della persona con particolare attenzione alla salute mentale e alle condizioni di maggiore fragilità (“Planetary Health”).

Lo standard fissato dal regolamento prevede almeno una Casa della comunità hub ogni 40-50mila abitanti cui fanno riferimento le Cdc spoke e gli ambulatori dei Medici di medicina generale e Pediatri di libera scelta. “Tutte le aggregazioni dei Mmg e Pls (Aft e Uccp) sono ricomprese nelle Case della Comunità avendone in esse la sede fisica oppure a queste collegate funzionalmente; alle Case della Comunità accederanno anche gli specialisti ambulatoriali”, spiega il Dm. Vengono fissati poi anche gli standard di personale per ogni singola struttura hub: 7-11 infermieri, 1 assistente sociale, 5-8 unità di personale di supporto (sociosanitario, amministrativo). 

Il regolamento enfatizza il ruolo delle farmacie convenzionate con il Ssn e valorizza la “sanità di iniziativa” quale “modello assistenziale di prevenzione e di gestione delle malattie croniche orientato alla promozione della salute, che non aspetta l’assistito in ospedale o in altra struttura sanitaria, ma lo prende in carico in modo proattivo già nelle fasi precoci dell’insorgenza o dell’evoluzione della condizione morbosa”. Il Dm contiene e classifica pure i livelli di stratificazione del rischio, dalla persona in salute fino a quella in fase terminale, sulla base dei bisogni socioassistenziali. Poi delinea l’architettura costruita attorno alla Casa della comunità, descrivendone assetti, dimensioni e funzioni. Quindi, ecco il Distretto con circa 100mila abitanti (oggi almeno 60mila), una Centrale operativa territoriale anch’essa ogni 100mila abitanti o comunque a valenza distrettuale qualora il Distretto abbia un bacino di utenza maggiore, almeno un Ospedale di comunità dotato di 20 posti letto ogni 50-100mila abitanti, almeno un Infermiere di famiglia o comunità ogni 2-3mila abitanti e almeno una Unità di continuità assistenziale (un medico e un infermiere) ogni 100mila abitanti.

Il regolamento, in particolare, descrive enfaticamente l’Infermiere di famiglia o comunità come “la figura professionale di riferimento che assicura l’assistenza infermieristica ai diversi livelli di complessità in collaborazione con tutti i professionisti presenti nella comunità”. Inoltre egli “non è solo l’erogatore di cure assistenziali, ma diventa la figura che garantisce la risposta assistenziale all’insorgenza di nuovi bisogni sanitari espressi e potenziali che insistono in modo latente nella comunità. È un professionista con un forte orientamento alla gestione proattiva della salute. È coinvolto in attività di promozione, prevenzione e gestione partecipativa dei processi di salute individuali, familiari e di comunità all’interno del sistema dell’assistenza sanitaria territoriale nei diversi setting assistenziali in cui essa si articola”. Belle parole che rischiano però di restare sulla carta per colpa del solito vulnus: la cronica carenza di personale

Il Dm descrive quindi tutte le unità organizzative assistenziali del nuovo assetto: dalla Centrale operativa 116117, sede del Numero europeo armonizzato (Nea) per le cure mediche non urgenti, alla rete delle cure palliative, dai consultori familiari al Dipartimento di prevenzione. Un ruolo chiave, naturalmente, è giocato dall’assistenza domiciliare a valenza distrettuale, perché “la casa come primo luogo di cura viene individuata all’interno della programmazione nazionale quale setting privilegiato dell’assistenza territoriale”, recita il regolamento. Lo standard previsto è quello della presa in carico, a regime, del 10% della popolazione over 65, in pratica 800mila malati cronici in più curati tra le mura domestiche entro il 2026. 

Infine, ampio spazio alla telemedicina e alla digitalizzazione dei processi clinico-assistenziali per favorire un approccio integrato alla cura e un’efficace valutazione delle prestazioni. “Tutte le unità operative territoriali che compongono il Distretto devono essere dotate di soluzioni digitali idonee ad assicurare la produzione nativa dei documenti sanitari in formato digitale”, spiega il testo. In modo, tra l’altro, da “produrre i documenti nativi digitali necessari ad alimentare il Fascicolo sanitario elettronico (FSE) di ciascun assistito”, ma anche per “integrarsi ed interoperare con la piattaforma del Sistema TS del ministero dell’Economia e delle Finanze, per garantire la corretta generazione della ricetta dematerializzata” e, non meno importante, per “interoperare con le piattaforme di telemedicina adottate a livello regionale e nazionale”.

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