21 Aprile 2022

Un Manifesto per un nuovo Ssn: la Fnomceo mette al centro la “questione medica”

Di NS
In 20 punti tutte le questioni aperte per i professionisti, sempre più sotto stress e affaticati dal carico di lavoro. Anelli: "I medici sono insostituibili, vanno valorizzati". Speranza: "Battaglia aperta sulle risorse"

di NS

La Fnomceo (Federazione nazionale degli ordini dei medici) pone con forza, al centro del dibattito pubblico, la “questione medica”, ovvero "il ruolo strategico della professione medica, durante e dopo lo stato di emergenza pandemica, nel garantire i diritti sanciti dalla nostra Carta Costituzionale”. Non ci gira intorno Filippo Anelli, numero uno della Fnomceo, intervenendo al Teatro Argentina di Roma che ha ospitato la Conferenza nazionale promossa dalla Federazione: “L’abbiamo chiamata ‘Questione Medica’ perché alla luce dei programmi, delle linee d’azione poste in campo dal Pnrr e più concretamente delle risorse disponibili per le strutture e le infrastrutture, chiediamo una analoga attenzione nei confronti dei professionisti sanitari”.

Nel corso dell’iniziativa la Fnomceo ha lanciato un “Manifesto”, in tutto venti punti (che poi sono i temi sui quali si chiedono risposte), condivisi e sottoscritti dalla Federazione e da 15 sigle sindacali mediche e odontoiatriche, per un nuovo Servizio sanitario nazionale. “La Professione medica e odontoiatrica deve essere presente in un progetto di rinnovamento della politica sanitaria nazionale qual è quello che dovrà essere attuato con le risorse che il Pnrr sta ponendo a disposizione - si legge nella premessa -. Va costruita una nuova assistenza sanitaria, un nuovo Ssn anche per superare disuguaglianze e disomogeneità nelle diverse aree del Paese”. Molte le questioni affrontate, che poi sono il fulcro del Manifesto stesso, dalla carenza di medici al riconoscimento del burnout come malattia professionale, dalla tutela dei diritti alla revisione dei percorsi di formazione, dalla sicurezza sul lavoro agli accordi contrattuali.

Interventi urgenti e necessari, a fronte di una situazione attuale che presenta evidenti criticità. Basti pensare che un terzo dei medici italiani, potendo, andrebbe subito in pensione. E, a sognare di poter barattare istantaneamente il camice bianco con una spiaggia esotica o una panchina al parco è proprio la “fetta” più giovane della professione: il 25% dei medici tra i 25 e 34 anni e il 31% di quelli tra i 35 e i 44 anni. Si tratta di uno dei dati più eclatanti, e preoccupanti, che emergono dall’indagine quantitativa “La condizione dei medici a due anni dall’inizio della pandemia da Covid-19”, condotta dall’Istituto Piepoli su input della Fnomceo, presentata proprio oggi al Teatro Argentina.

Non solo, ma in base a uno studio realizzato da Anaao Assomed (presentato sempre oggi in occasione della Conferenza nazionale Fnomceo) negli ultimi 3 anni il Servizio sanitario nazionale ha perso quasi 21mila medici specialisti: dal 2019 al 2021 hanno abbandonato l’ospedale 8mila camici bianchi per dimissioni volontarie e scadenza del contratto a tempo determinato e 12.645 per pensionamenti, decessi e invalidità al 100%. “Noi amiamo questa professione, chiediamo solo di poterla esercitare con l’entusiasmo di chi inizia - commenta Anelli -. Questa propensione alla pensione anticipata, espressa da tanti giovani, è un dato scioccante che fa riflettere e mostra quanto profonda sia la crisi legata alla perdita di fiducia nel futuro, alla mancanza di speranza di un domani migliore per la nostra professione”.

Rilevante l’aumento in pandemia dei carichi di lavorooltre il 37% sul territorio, più 28% in ospedale – che ha riguardato la stragrande maggioranza dei medici e degli odontoiatri. Stando a quanto emerge dalla ricerca dell’Istituto Piepoli, nel corso della pandemia tale carico è cresciuto per 3 medici su 4, portando quasi 1 ospedaliero su 5 a cambiare reparto (un cambiamento difficile, nella maggior parte dei casi). Un impegno gravoso che ha avuto ripercussioni lo pensano il 40% sia dei medici sul territorio sia degli ospedalieri - anche sul rapporto di fiducia con i cittadini. E che ha provocato, insieme alle difficoltà organizzative, stress e preoccupazione nella stragrande maggioranza dei professionisti, il 71%.

Si dichiarano “stressati” il 90% dei medici del territorio, il 72% dei medici ospedalieri, l’80% degli specialisti ambulatoriali, il 62% degli odontoiatri. D’altro canto, il 53% dei medici dichiara che molti cittadini hanno rinunciato a cure importanti, spesso interrompendole dopo averle iniziate, per colpa della pandemia. L’indagine dell’Istituto Piepoli rileva inoltre come il 24% dei medici di continuità assistenziale abbia presentato problemi di salute, come disturbi del sonno, stress ansia e paura, analogamente al 10% dei medici di medicina generale, al 4% dei medici ospedalieri e il 3% degli odontoiatri.

Sul punto, si sofferma il presidente della Fnomceo: “Sorge spontanea a questo punto la domanda: chi cura i curanti? La perdurante mentalità aziendalista che pervade il nostro Ssn, tutta concentrata solo sui risultati economici frutto di una mentalità liberista, non ha permesso di mettere in atto iniziative tese a rilevare questo drammatico fenomeno, né tantomeno a porsi la domanda su come affrontarlo. Serve un provvedimento che riconosca il burnout come malattia professionale”.  In chiusura del suo intervento, Anelli ribadisce che “i medici non sono sostituibili. Le loro competenze e abilità, frutto di lunghissimi anni di studio e formazione, devono essere valorizzate e non banalizzate”, indicando l’obiettivo di una “sanità di qualità fondata sulla scienza e sull’appropriatezza contro ogni deriva consumistica e commerciale della salute”.

A tirare le somme, dopo una mattinata di ascolto, il ministro della Salute Roberto Speranza: “Siamo in un momento cruciale della storia del nostro Servizio sanitario nazionale”, dice. Per poi sottolineare come la pandemia, “insieme a tutto il male e la sofferenza che ha portato, per paradosso ci offre una finestra di opportunità, perché si è trasferito in ambito popolare un elemento di consapevolezza che prima non c’era, in merito alla centralità del bene pubblico salute e del nostro Ssn”.

Speranza mette infine in luce, poi, come la battaglia per le risorse sia "aperta, non definitivamente vinta: la fotografia odierna registra 10 miliardi in più sul Fondo sanitario nazionale, 20 miliardi dal Pnrr, 625 milioni di Pon salute per la prima volta, ma non bastano, sono io il primo a dire che dovremo batterci in una sintonia  Governo-Regioni-Parlamento”. Non senza rimarcare come “anche nel Def approvato ieri dalle Camere si indica la necessità di far crescere le risorse per la salute. Si è chiusa la stagione in cui la sanità era il bancomat da cui prendere risorse”.

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