Covid, crescono disuguaglianze e rinunce alle cure, ma Recovery e legge di Bilancio non lo vedono
L'intervento

di Tonino Aceti*
L’emergenza sanitaria da Covid-19 sta fortemente aumentando le difficoltà di accesso alle cure, in modo diversificato tra aree del Paese, con rilevanti ricadute sul principio di equità. A certificarlo è stato recentemente l’Istat affermando che “nel 2020 un cittadino su 10 ha dichiarato di aver rinunciato negli ultimi 12 mesi, pur avendone bisogno, a visite mediche o accertamenti specialistici a causa delle liste di attesa, la scomodità delle strutture, ragioni economiche e motivi legati al Covid-19; questi ultimi sono stati indicati da circa la metà delle persone che hanno riferito una difficoltà di accesso. L’anno precedente (2019) la quota di rinunce era stata più bassa e pari al 6,3%, in calo rispetto al 2018 (7,2%) e al 2017 (8,1%).”
Praticamente il Covid da una parte mette in crisi l’esigibilità dei Livelli essenziali di assistenza (Lea), facendo dei pazienti non Covid gli “esodati” del Ssn, dall’altra sta allargando la forbice delle disuguaglianze. Ma di tutto questo nell’ultimo anno non sembra esserci stata la giusta consapevolezza da parte di Governo, Parlamento e Regioni. Tanto che i 500 milioni di euro stanziati a livello nazionale in uno dei tanti decreti emergenziali finalizzati al recupero entro il 2020, da parte delle Regioni, delle prestazioni annullate durante il lockdown, non hanno raggiunto l’obiettivo. I Piani regionali di recupero sono stati presentati quasi tutti a fine anno con la conseguenza che le risorse sono state ripartite tra le Regioni, ma le prestazioni non sono state ancora recuperate come si doveva. Continuare a snobbare questa situazione vuol dire alimentare l’emergenza nell’emergenza e non fare i conti con la realtà.
Durante il primo lockdown, infatti, il Ssn ha fortemente ridotto l’assistenza ai pazienti non Covid: -34 milioni di ricette rispetto al 2019 (-58%); -13,3 milioni di prestazioni per accertamenti diagnostici; -9,6 milioni di visite specialistiche; -40% di ricoveri circa 309 mila ricoveri, di cui 230.428 chirurgici; circa -700.000 ricoveri nei reparti di medicina interna, di cui il 56% relativi a pazienti cronici; circa 4.300 le neoplasie e 4.000 gli adenomi non diagnosticati a causa del crollo anche oltre il 50-60% degli screening oncologici, rispetto al 2019.
Di tutto questo non si parla. La legge di Bilancio 2021 e il Recovery Plan non vedono il problema, non definiscono una strategia e più in generale non rilanciano la sanità pubblica come ci saremmo aspettati, dopo che per 10 anni è stata il bancomat di Stato e Regioni.
Il Recovery Plan, infatti, riserva per la Salute solo l’8,8% delle risorse rispetto al totale, relegandola ad essere l’ultima ruota del carro, circa 8 miliardi in meno rispetto alla missione “inclusione e coesione” (penultima per finanziamenti). Le risorse destinate alla sanità passano da 15 mld, cifra certificata dal Governo come già disponibile nella prima versione di Recovery Plan, a 19,7 mld. Nessun raddoppio quindi, ma lo spostamento da una parte all’altra di risorse già presenti nella precedente versione del Recovery Plan e un’aggiunta di 4,7 mld.
I 19,7 miliardi restituiscono al Servizio sanitario pubblico solo la metà dei circa 40 miliardi di euro di mancati incrementi subiti dal fondo sanitario negli ultimi dieci anni per garantire il famoso equilibrio di finanza pubblica richiesto dalle diverse manovre che si sono succedute negli anni.
L’ultima occasione di finanziamento di un programma straordinario di investimenti in edilizia e tecnologie sanitarie risale a più di 30 anni fa con l’art. 20 della Legge 67/1988, con uno stanziamento iniziale, solo da parte dello Stato, pari a ben 15,5 miliardi di euro (i 30mila miliardi di lire), gli attuali 34,4 miliardi a parità di potere di acquisto, praticamente quasi il doppio rispetto ai 19,7 miliardi destinati anche ad altre esigenze che potrebbero arrivare dall’Europa e che rappresentano il 57% delle risorse decise 33 anni fa per i soli ospedali (quest’ultime allocate su arco temporale più lungo rispetto a quello del Pnrr).
A rendere il quadro ancora più serio è il combinato disposto con la legge di Bilancio 2021: infatti, se nel 2022 l’incremento del finanziamento del Ssn è pari a 822,870 milioni di euro, già nel 2023, 2024 e 2025 questo si riduce a 527,070 milioni di euro per ciascuno degli anni, mentre a decorrere dal 2026 è pari a 417,870 milioni di euro l’anno. Dal 2023 sale nuovamente in cattedra la razionalizzazione della spesa (spending review- comma 404 L. 178/2020), che negli anni passati è stata confusa e declinata con un vero e proprio razionamento della spesa, dei servizi sanitari e dei diritti dei pazienti.
C’è bisogno ora di un cambio di passo su salute e sanità pubblica, non sprechiamo l’opportunità che l’Europa ci mette a disposizione.
*Presidente di Salutequità