"La destra non faccia fallire la riforma della medicina territoriale"
La senatrice Sandra Zampa, responsabile Sanita del Pd, a Nursind Sanità: "Garantire agli infermieri riconoscimenti di carriera. Lo scontro sul contratto del comparto? Mi preoccupa, bisogna avere la forza di guardare all'insieme"

“Se il prossimo ministro porterà a termine la riforma delle Case di comunità, coinvolgendo i medici di medicina generale, la riforma avrà successo. Ma non vorrei che la destra puntasse a farla fallire solo perché è stata fatta da un’altra parte politica”. Sandra Zampa, senatrice e responsabile Sanità del Partito democratico, interviene su Nursind Sanità sul tema della riforma della medicina territoriale. Presto a Lungotevere Ripa arriverà un nuovo ministro, ma ancora non è chiaro come la nuova maggioranza intenda procedere su questo punto. Il rischio, paventa la senatrice emiliana, è quello di perdere i soldi del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Zampa, inoltre, si dice pronta in Parlamento a lavorare sui disegni di legge interrotti dalla fine anticipata della XVIII Legislatura e quindi su temi quali l'infermiere di famiglia e la questione della libera professione intramuraria per questa categoria, alla quale infine vanno garantiti, ribadisce, un percorso professionale con dei passaggi di carriera e una giusta remunerazione, in modo da rendere più attrattiva la professione.
Senatrice, anche in questo autunno dovremo capire come evolverà il Covid. La preoccupa l’atteggiamento che potrà avere il nuovo governo nell’affrontare e contenere il virus?
In parte sì, anche se credo che saranno i presidenti di Regione a fare in modo, se al governo ci fossero dubbi e incertezze, di chiedere le misure necessarie. Durante la campagna elettorale la destra non ha mai voluto chiarire quale sarà il suo atteggiamento, strizzando l’occhio a un pezzo di Italia che è più che minoritaria, stando ai numeri dei vaccini. Questo è un dato di fatto. Comunque, tra i nomi di cui si parla in queste ore per il Ministero della Salute ci sono dei tecnici, spero che non si prestino a politiche irresponsabili.
Sul Pnrr sempre più esponenti politici e non solo mettono in guardia sul rischio che le Case di comunità si ritrovino senza personale sanitario, di cui è nota la carenza anche in ragione dei vincoli al tetto di spesa. Potrebbe essere un problema?
Se venisse attuata la riforma che riguardava i medici di medicina generale e che stava per essere approvata dal precedente esecutivo, non sarebbe un problema. Voglio ricordare che c’era un accordo pronto con il favore dei principali attori. Il ministro aveva impiegato tempo e pazienza proprio per raggiungere il massimo del consenso possibile. I sindacati lo avevano condiviso. Un certo numero di ore di lavoro degli Mmg era a disposizione dei distretti che potevano disporre di quel tempo. Le Case di comunità in realtà erano pronte ad avere l’anima che è sicuramente rappresentata dal medico di medicina generale e anche dagli infermieri.
La destra boicotterà la riforma?
Sarebbe sufficiente che il ministro entrante riprendesse in mano quell’accordo, andasse in Consiglio dei ministri e portasse a termine il disegno riformatore. È possibile, però, che ci si impegni nella direzione contraria e io ho registrato fin dall’inizio una determinazione della destra a far fallire le Case di comunità. È come una profezia che si autoavvera.
Si spieghi.
È vero che abbiamo in questo momento molti problemi sul fronte del capitale umano, delle risorse professionali. Ma proprio perché bisogna impiegarle al meglio è importante che la Casa di comunità diventi il luogo dell’innovazione e della buona organizzazione. In queste strutture devono entrare psicologi e psicoterapeuti, gli specialisti, le innovazioni tecnologiche. La scelta è tra farle funzionare o fare in modo che falliscano solo perché frutto di una riforma portata avanti da un’altra parte politica. Ma attenzione: qui sono in gioco i soldi del Pnrr. Se non arriviamo fino in fondo li dovremo restituire.
I medici di medicina generale non sono entusiasti di dividersi tra la Casa di comunità e lo studio…
Anche loro hanno interessi corporativi. Ma la riforma che il ministro aveva messo a punto ci aveva portati a un passo dalla volta. Forse i medici di medicina generale farebbero bene a ricordare che è stata Letizia Moratti la prima a parlare per loro di lavoro dipendente. La salute non passa dagli interessi delle categorie, di cui tuttavia bisogna tenere conto. Cominciamo a ragionare su qual è l’interesse dei cittadini.
Alcuni sindacati medici si sono rivolti alla Corte dei Conti contro il contratto del comparto. La preoccupa questo ritorno dei dissidi tra professioni sanitarie?
Mi preoccupa molto. Bisogna avere la forza di cambiare qualcosa e anche di smettere di far prevalere interessi sempre più piccoli. Bisogna avere la forza di guardare all’insieme. Mi preoccupa che non ci si presenti uniti, che non si capisca che tutto il settore della sanità ha bisogno di ripartire con slancio.
Nella scorsa legislatura si stavano discutendo importanti disegni di legge come l’infermiere di famiglia o la libera professione intramuraria per questa categoria. Secondo lei si può ripartire da questi progetti?
Assolutamente sì. Non so se andrò in commissione Sanità, ma gli impegni che avevamo assunto nel nostro programma elettorale contemplavano anche questi disegni di legge e saranno tutti ripresentati. Auspico che ci sia il massimo di convergenza possibile per fare presto.
Infine, la carenza di infermieri. Molti di loro lasciano la professione perché gli stipendi sono troppo bassi e le responsabilità tante. Come si può tornare a rendere attrattiva la professione?
Intanto rimotivandoli con legittimi riconoscimenti di carriera, perché non c’è per loro un vero e proprio percorso di carriera. Alla fine, dopo 40 anni di lavoro, gli infermieri non vanno molto lontano da dove sono partiti, salvo pochi casi eccezionali. Bisogna garantire loro, quindi, un percorso professionale che li faccia avanzare. E accanto a questo anche un riconoscimento economico che non può più tardare.