13 Febbraio 2023

Aviaria, "Virus letale, merita attenzione ma nessun allarme"

L'infettivologo del Gemelli Roberto Cauda a Nursind Sanità: "Non è un coronavirus e quindi muta meno. Questo agevola sul fronte dei vaccini". E sul rischio salto di specie: "Ancora non ci sono evidenze in tal senso"

Di Giovanni Cedrone
Aviaria, "Virus letale, merita attenzione ma nessun allarme"

Dopo l’allarme dell’Organizzazione mondiale della Sanità, che ha registrato un aumento di casi di influenza aviaria H5N1 tra i mammiferi, pur valutando basso al momento il rischio per l’uomo, si susseguono nel mondo le segnalazioni di mammiferi colpiti dal virus. A tal proposito Nursind Sanità ha interpellato Roberto Cauda, professore ordinario di Malattie infettive presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore e Direttore di Malattie Infettive al Policlinico Gemelli di Roma. "Si tratta di un virus particolarmente letale e quindi bene ha fatto l’Oms a lanciare l’alert. Il rischio è che i mammiferi contagiati possano diventare un serbatoio e facilitare il salto di specie, ma ancora non ci sono evidenze in questo senso”, ha detto l’esperto.

Eppure, si susseguono negli ultimi giorni le segnalazioni: in Perù il Servizio nazionale per le aree protette ha denunciato il decesso di 585 leoni marini e 55mila uccelli a causa del virus dell’aviaria. Anche dagli Stati Uniti sono arrivati analoghi report: le autorità sanitarie sono allarmate in particolare dalle mutazioni del virus originale che hanno permesso nuovi contagi su diverse specie animali, in particolare i mammiferi. Tra le razze colpite risultano ora anche volpi, orsi, delfini, uccelli selvatici e una fattoria di visoni. "Più che di allarme parlerei di una situazione che merita una grande attenzione - spiega Cauda -. Questi episodi si registrano dalla seconda metà degli anni ‘90, quando per la prima volta a Hong Kong sono stati sacrificati milioni di polli e uccelli con l’H5N1. Va detto che sinora solo nel 2005 sono stati segnalati una serie di casi di soggetti che a contatto con gli uccelli venivano infettati. A mia conoscenza c’è soltanto uno studio fatto in Asia pubblicato sul New England Journal of Medicine in cui veniva attenzionata una possibile trasmissione intra familiare del virus H5N1".

L'Organizzazione mondiale per sanità, intanto, sta lavorando con le autorità nazionali per monitorare da vicino la situazione e per studiare i casi di infezione da H5N1 negli esseri umani, quando si verificano. La rete globale di laboratori Oms (il Sistema globale di sorveglianza e risposta all'influenza) identifica e monitora i ceppi di virus influenzali circolanti e fornisce consulenza ai Paesi sui loro rischi per la salute umana e sulle misure di trattamento o controllo disponibili. La raccomandazione è quella di rafforzare la sorveglianza negli ambienti in cui interagiscono esseri umani e animali d'allevamento o selvatici, mentre  continua a collaborare coi produttori per assicurarsi che, se necessario, le forniture di vaccini e antivirali siano disponibili per l'uso globale.

"Quando parliamo del virus dell’influenza aviaria parliamo di H5N1, ma ci sono anche altri virus aviari che sono stati trovati in vari allevamenti per i quali il rischio per l’uomo fino ad oggi è stato assolutamente più che trascurabile", ricorda Cauda che però non si sbilancia in previsioni: "All’epoca della Sars, nel 2002-2003, inizialmente si temeva che potesse esserci stato il salto di specie, lo spillover, il contagio tra uomini e uomini. L’isolamento del virus ha fatto sì che sia stata esclusa questa possibilità. Di fronte a un qualcosa di potenziale non sarei né allarmista né ottimista. Bisogna essere realisti e vedere i numeri".

Certo è che dopo il Covid, ogni allarme o segnalazione viene presa estremamente sul serio. Ma il professore di Malattie infettive della Cattolica sottolinea che l’H5N1 è un virus ben diverso dal Sars Cov-2: "Questo non è un coronavirus, è un virus influenzale che ha una stabilità molto maggiore e muta meno. Bisogna ricordare che durante la spagnola il virus era l’H1N1 ed è rimasto quello dal 1917 al 1920. Questo ci dà più possibilità di avere vaccini. Io non so se ci sono ancora scorte del vaccino H5N1 prodotte nel 2005, l’anno cioè di massimo rischio. All’epoca erano stati elaborati piani pandemici e molte aziende lo avevano prodotto".

Ma come riconosceremo il virus se dovesse arrivare all’uomo? "In primis con il sequenziamento - spiega il professore -. Dal punto di vista clinico è la gravità della malattia che permette di riconoscerlo perché ha una letalità molto elevata. In genere virus molto letali hanno una capacità di trasmissione molto bassa. Sinora gli uomini colpiti non trasmettevano ad altri. Poi c’è il rischio dello spillover. Il problema con i mammiferi è che potrebbe crearsi una sorta di serbatoio, ma bisogna capire bene prima con che tipo di mammiferi può verificarsi questa eventualità. Solo scienza e conoscenza ci possono mettere al sicuro".
L’importante, in caso di nuova emergenza, è fare tesoro di tutto quello che abbiamo imparato nel corso dell’ultima: "Tutti hanno sottolineano la necessità di non disperdere il patrimonio di conoscenze acquisito e di incanalarlo in quella che può essere la preparazione per le prossime, quasi inevitabili, pandemie", conclude Cauda.

 

 

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