Il long Covid del Ssn: 900mila ospedalizzazioni perse nel 2020 e 2021
Presentato il 20esimo Rapporto Aiop. Cittadini: "Lontani dai livelli pre-pandemia sia per le prestazioni programmate che per quelle urgenti". Schillaci: "Pubblico-privato chiave per superare le disuguaglianze e allargare l'offerta"

"Il Ssn soffre ancora del long Covid. I dati parlano chiaro: a due anni dalla pandemia non solo non si riscontra il recupero atteso delle prestazioni mancate nel corso della fase pandemica più acuta, ma i volumi di attività e la qualità delle cure non sono tornati ai livelli pre-Covid né per le prestazioni programmate né per quelle urgenti". Lo ha detto Barbara Cittadini, presidente nazionale Aiop, l’Associazione italiana ospedalità privata, in occasione della presentazione del 20esimo Rapporto sull’attività ospedaliera in Italia "Ospedali&Salute", presentato oggi in Senato.
"Le forze centrifughe dal Ssn sono sempre più evidenti – ha spiegato Cittadini – con sempre più utenti che, per ovviare alle liste d’attesa, si trovano costretti, se possono, a pagare le prestazioni o, in caso di indisponibilità economica, a rinunciare alle cure”. Si tratta di una situazione che il Rapporto fotografa nei dettagli.
I RICOVERI
In particolare, il volume di ricoveri urgenti non ha subìto sostanziali variazioni tra il 2020 e il 2021, confermando così una differenza percentuale del -13% rispetto al periodo pre-pandemico: circa 900 mila ospedalizzazioni "perse" sia nel 2020 sia nel 2021. Il numero di ospedalizzazioni urgenti, inoltre, resta sovrapponibile nel biennio anche nell'ambito delle stese aree territoriali (nord, centro e sud); viene quindi confermata una contrazione soprattutto nel sud e nelle isole, comparativamente meno investiti dall'urto pandemico e dal conseguente sforzo di recupero.
Per quanto riguarda, invece, i ricoveri programmati, si assiste a una ripresa dell'attività elettiva, pur restando un significativo scostamento (-16%) dalla situazione del 2019. In questo caso, è più che evidente come il sistema fatichi a tornare sui livelli pre-pandemici, con quanto ne consegue anche in termini di non riuscito recupero delle prestazioni mancate nel 2020. Per quanto attiene le prestazioni di specialistica ambulatoriale, i volumi di attività restano fortemente al di sotto dei valori pre-Covid, con variazioni 2019-2021 che raggiungono scarti anche del -70% (Basilicata) e del -46% (P.A. di Bolzano). Differenze negative si registrano anche nel 2022, a conferma, secondo il rapporto, di un perdurante long covid del Ssn. Il fenomeno dei tempi di attesa anomali - che già era una criticità rilevata nel nostro SSN - si incrementa ulteriormente: ai ritardi "ordinari" pre-pandemici, si aggiungono quelli "straordinari" del 2020 e quelli provocati da un urto pandemico che stenta a esaurirsi. Se possiamo definire fisiologici i blocchi e rimandi del 2020 - nella misura in cui il sistema si è concentrato nella gestione dell'emergenza Covid e parallelamente le prestazioni non-Covid sono state limitate per controllare il rischio di contagio - si fa fatica a spiegare il dato del 2021.
TEMPI D’ATTESA E SPESA OUT OF POCKET
Nel Servizio sanitario nazionale, lo "straordinario" non riesce ad essere assorbito in un "ordinario" che evidenziava criticità strutturali già prima dell'avvento del Covid. Tempi di attesa incongrui con la gravità e complessità del quesito diagnostico o della diagnosi rappresentano uno degli elementi di maggiore iniquità nell'ambito di un sistema a vocazione universalistica, dal momento che determinano una divaricazione tra coloro che possono rivolgersi al mercato delle prestazioni sanitarie - al di fuori del Ssn - e coloro che, per ragioni economico-sociali, non possono ricorrere alla spesa out-of-pocket. Per questi ultimi, sottolinea il rapporto, l'alternativa è tra un'attesa suscettibile di compromettere, in tutto o in parte, il proprio stato di salute e la rinuncia alle cure.
L'andamento dell'out-of-pocket italiano - che storicamente rappresenta circa un quarto della spesa sanitaria totale - è in progressiva crescita: è aumentato dai 37,3 miliardi di euro del 2017 al 38,4 del 2019 fino al 38,5 del 2021. Si registra un'evidente ripresa, nel 2021 rispetto al 2020, del valore dei ticket pagati dagli utenti per prestazioni intramoenia negli ospedali pubblici e - più in generale - dei consumi sanitari out-of-pocket delle famiglie italiane, che tornano ad essere più elevati non solo rispetto al 2020 ma anche al 2019, anno immediatamente precedente la pandemia. Dall'indagine contenuta nel Rapporto emerge che nel 2022 (sempre in riferimento a prestazioni/diagnosi serie- gravi) il 28% degli intervistati con almeno un episodio Covid e il 13% di quelli mai contagiati si sono rivolti al privato puro; mentre alle prestazioni a pagamento all'interno delle strutture pubbliche (intramoenia), hanno rispettivamente fatto accesso il 31% e il 9% degli intervistati. Il fenomeno di rinuncia alle cure, che nel 2021 ha coinvolto circa 1 intervistato su 20, si è lievemente ridotto nel 2022.
LA SPESA SANITARIA
Il rapporto fa il punto naturalmente sulla spesa sanitaria pubblica che in rapporto al Pil era già al di sotto della media dei Paesi Ocse e G7 prima e durante l’urto pandemico ed è tutt’oggi considerevolmente distante da questi riferimenti. Tale rapporto, infatti, nel 2019, era del 6,4%, a fronte del 7,6% e del 9,1% dei Paesi Ocse e G7, mentre nel 2020, primo anno di pandemia, è aumentato al 7,4%, contro, però, l’8,4% (Paesi Ocse) e il 10,5% (G7). Lo studio si focalizza in particolare sulla distribuzione della spesa pubblica ospedaliera che – è la denuncia – non tiene conto della natura mista della rete ospedaliera. Questa doppia anima si manifesta per esempio nella distribuzione dei posti letto accreditati - 70% nella componente di diritto pubblico e 30% nella componente di diritto privato. Mentre la spesa viene destinata per l’88% alle strutture pubbliche e solo per il 12% alle strutture private accreditate.
Proprio sulla spesa si è soffermata la numero uno di Aiop. Secondo Cittadini, infatti, “si continua a paralizzare l’erogazione di servizi alla salute, attraverso il meccanismo dei tetti di spesa, imponendo alle Regioni un limite massimo all’acquisto di prestazioni presso il privato accreditato e sacrificando i bisogni assistenziali dei pazienti sull’altare di una illogica predilezione per la proprietà pubblica degli asset”. "Le dinamiche 'conflittuali' tra la componente di diritto pubblico e quella di diritto privato del Ssn - ha aveidenziato - non interessano ai malati. L’interesse del paziente è quello di ricevere le cure migliori - dal punto di vista dell’efficacia, appropriatezza e sicurezza - e non, certamente, la natura giuridica dell’ospedale che le eroga. I malati desiderano, solamente, essere curati".
Di sistema virtuoso pubblico-privato da creare per “implementare e allargare l’offerta” ha parlato il ministro della Salute Orazio Schillaci: "La doppia anima del nostro sistema ospedaliero, pubblico e privato, può rappresentare la chiave di volta per risolvere alcune criticità esistenti e superare le inaccettabili disuguaglianze che tuttora persistono a livello territoriale. Considero prioritario rispondere in modo tempestivo e adeguato alle esigenze di tutti coloro che sono rimasti indietro in questi anni,
penso in particolare agli screening oncologici, ai ricoveri e agli interventi rimandati o sospesi soprattutto nelle prime fasi dell’emergenza sanitaria". Secondo il ministro inoltre, "una novità rilevante è rappresentata dall’approvazione dell’emendamento al decreto Milleproroghe che, oltre a permettere di continuare a utilizzare i fondi resi disponibili con la legge di Bilancio 2022, dà alle Regioni la facoltà di avvalersi di una quota dello 0,3% del fondo sanitario per incrementare l’offerta di prestazioni in convenzione con le strutture private accreditate".
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