Telemedicina: cosa serve all'Italia per stare al passo con i tempi?
Formazione del personale e interoperabilità delle piattaforme digitali: il Bel Paese cerca di mettersi in linea con le migliori esperienze internazionali. Discussione aperta sul taglio dei costi

Il Covid ha permesso di coglierne appieno l’importanza. Tanto che la telemedicina è entrata con un ruolo di primo piano nel Pnrr e nel nuovo assetto dell’assistenza sanitaria territoriale disegnato dal Piano di ripresa e resilienza, assetto che sempre più vedrà inevitabilmente la combinazione di cure domiciliari e remotizzate, sull’onda dello sviluppo del digitale.
La Missione 5, Componente 1, Investimento 2 del Recovery, che indica la “casa come primo luogo di cura e telemedicina”, stanzia infatti 4 miliardi di euro per l’obiettivo, di cui 1 miliardo in specifico per la digitalizzazione dell’assistenza. E proprio pochi giorni fa Agenas, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, ha chiuso la procedura per l’affidamento della progettazione, realizzazione e gestione della Piattaforma nazionale di telemedicina.
La gara, vinta dal Raggruppamento temporaneo di impresa (Rti) formato da Engineering Ingegneria Informatica e Almaviva, ha un valore di 235milioni e alcuni obiettivi molto importanti: facilitare la presa in carico, acuta e cronica, da parte delle strutture territoriali; favorire la deospedalizzazione a beneficio dell’assistenza di prossimità; colmare il gap tra i vari sistemi sanitari regionali attraverso la tecnologia, migliorando la qualità clinica e l’accessibilità ai servizi dei pazienti in tutte le aree del Paese; incoraggiare lo sviluppo della sanità digitale.
Chirurgia di precisione, screening e visite teleguidate, robotica, monitoraggi in remoto, Iomt (Internet of medical things), intelligenza artificiale nell’elaborazione dei dati: sono moltissime le applicazioni da sviluppare. Senza dimenticare i recenti progressi della telemedicina in cardiologia. Non a caso, pochi giorni fa a Bologna, durante il congresso internazionale della Società italiana di telemedicina (Sit), sono state presentate le prime linee guida per la medicina da remoto nel campo delle malattie del cuore, redatte dalla stessa Sit, dall’Iss e dalle società scientifiche del settore.
La pandemia ha contribuito a sconfiggere buona parte delle resistenze e delle diffidenze che provenivano dai pazienti e dagli stessi operatori sanitari rispetto alle pratiche terapeutiche e assistenziali remotizzate grazie alla tecnologia. Anche se resta qualche perplessità sul confronto qualitativo con le cure erogate in presenza. In tutti i casi, la sanità digitale italiana ha un giro d’affari ormai intorno ai 2 miliardi, con un robusto trend di crescita anno dopo anno.
Una recente ricerca Ocse, condotta dal giapponese Tiago Hashiguchi, senior expert del Programma di ricerca sulla salute digitale della Banca mondiale, sostiene ad esempio che in Canada il 78% dei medici concorda sul fatto che l'assistenza virtuale consenta loro di fornire cure di qualità ai propri pazienti. In Australia, invece, tra i borsisti del Royal australian college di chirurgia, il 77% ritiene che un’assistenza soddisfacente possa essere fornita tramite la telemedicina, ma solo il 38% degli intervistati pensa che la qualità dell'assistenza sia equivalente a un consulto di persona. In ogni caso, nei Paesi Ocse più del 95% degli assistiti che hanno provato la telemedicina risulta esserne soddisfatto.
L’Italia cerca di stare al passo con le migliori esperienze globali, anche se la sfida passa inevitabilmente per due obiettivi: in primis la formazione avanzata di tutti gli attori della filiera sanitaria; in secondo luogo la capacità di integrare e di far dialogare sistemi digitali, piattaforme e banche dati. In realtà la telemedicina ha fatto il suo debutto ufficiale nel Ssn poco più di due anni fa, grazie alla firma del ministero della Salute, in Conferenza Stato-Regioni, sulle linee guida con le regole per visite, referti, consulti e teleassistenza. Ma non sfuggono i vantaggi sul fronte della qualità delle cure e del contemporaneo taglio dei costi.
A Roma, ad esempio, il Policlinico di Tor Vergata sta implementando in modo rilevante il tele-monitoraggio dei pazienti. Mentre l’Irccs Humanitas di Milano ha pubblicato un recente studio sulla rivista “Cancer” in cui racconta i benefici della telemedicina nella gestione post-operatoria della lobectomia polmonare robotica. Secondo alcune ricerche, poi, il tele-monitoraggio dei pazienti cardiologici abbatterebbe il numero di giorni di degenza di circa il 25% e permetterebbe un taglio dei costi sanitari del 10%, con un aumento dei tassi di sopravvivenza del 15%.
I benefici potenziali ci sono anche per gli assistiti, che in molti casi risparmiano danaro e tempo legati ai viaggi, agli spostamenti, alle code in attesa nelle strutture sanitarie. È chiaro comunque come non sia facile calcolare una riduzione degli esborsi che dipende da tanti fattori connessi al tipo di patologia, all’assetto assistenziale e organizzativo di chi prende in carico il paziente. Ancora la Sit stima un taglio delle spese per le degenze ospedaliere di circa il 40%, mentre secondo un report del centro di ricerca Juniper Research, la telemedicina consentirà ai sistemi sanitari mondiali di risparmiare 21 miliardi di dollari entro il 2025. Ma questo genere di ragionamenti può risultare riduttivo, visto che le cure digitalizzate puntano in definitiva a generare un valore per tutti gli stakeholder che va oltre la mera riduzione dei costi economici.
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