Sanità territoriale, Upb: "Più fondi al Ssn per sostenere la riforma del Pnrr"
Molte le criticità individuate dall'Ufficio parlamentare di bilancio: "La carenza di medici e infermieri sta diventando emergenza". E poi: "Maggiori risorse alle aree deboli per l'equità dei servizi"

“Rimangono alcuni dubbi sulla valutazione delle risorse correnti necessarie a rendere operative le nuove strutture di assistenza sanitaria territoriale”. L’Ufficio parlamentare di bilancio passa sotto la propria lente d’ingrandimento la riforma delle cure di prossimità e del sistema di prevenzione targata Pnrr e contenuta nel Dm 77 del 2022. L’organismo indipendente, in un focus ad hoc, non manca di sottolineare una delle perplessità più ricorrenti, in realtà, su molti degli obiettivi del Piano: se pure si realizzano gli investimenti previsti, poi ne scaturiscono strutture e presidi che hanno bisogno di spesa corrente per essere mantenuti a regime oltre la scadenza naturale del Recovery. Ed è lì che si nascondono spesso le insidie maggiori.
Infatti l’Upb spiega: “Quando le risorse del Pnrr saranno esaurite, si dovrà rinvenire nei finanziamenti al Ssn più di un miliardo per dare continuità ai servizi di assistenza domiciliare e quando gli Ospedali di comunità saranno disponibili si dovranno reperire 239 milioni per il relativo personale”. I guardiani dei conti pubblici italiani aggiungono: “Peraltro, la programmazione finanziaria per il triennio iniziato nel 2023 implica un ridimensionamento della quota del prodotto allocata alla sanità pubblica, che renderebbe difficile potenziarne i servizi, anche in presenza di una riorganizzazione degli stessi. Plausibilmente emergerà quindi l’esigenza di destinare ulteriori finanziamenti all’assistenza sanitaria territoriale”.
Poi ecco la nota dolente che fa capo alla carenza di operatori sanitari. “Con riguardo al necessario potenziamento delle risorse umane – aggiunge l’Ufficio parlamentare di bilancio – la difficoltà di reperire il personale e la perdita di attrattività del Ssn stanno diventando un’emergenza, soprattutto per quanto riguarda gli infermieri e alcune categorie di medici, da affrontare con una adeguata programmazione del personale, l’incremento dell’offerta formativa, l’adozione di misure volte a restituire attrattività al lavoro nel Ssn in termini di riconoscimento sociale ed economico”. Insomma, molto buoni e molto giusti gli obiettivi del Piano di ripresa e resilienza. Ma poi serviranno risorse in regime ordinario per mantenerli in vita. E non si potrà procedere con la logica dei tagli.
L’altro nodo, vexata quaestio, è quello del “coinvolgimento dei medici di medicina generale (Mmg) nell’attuazione della riforma” che “richiederebbe una chiara regolazione delle forme e dei modi della partecipazione alle varie strutture e una revisione dei percorsi formativi”, riflette l’Upb. Che continua: “L’ipotesi di trasformare i medici di base da liberi professionisti convenzionati in dipendenti del Ssn al momento sembra essere stata accantonata. L’Atto di indirizzo per la convenzione con i MMG 2019-21 enfatizza il ruolo delle aggregazioni dei medici di base più di quello delle Case della comunità e si limita a presupporre che la riorganizzazione emersa dai precedenti accordi sia già coerente con le previsioni del Pnrr e adattabile al nuovo Regolamento contenente gli standard dell’assistenza territoriale (DM 77/2022)”. Ma “il ritardo nella contrattazione nazionale – la convenzione oggi in discussione è riferita a un periodo ormai scaduto – finisce per essere causa ed effetto delle difficoltà a introdurre, e finanziare, innovazioni più rilevanti, pure necessarie nell’ottica della riforma”, spiega l’ente di valutazione dei conti pubblici.
Inoltre, c’è il tema della sanità arlecchino e dei 20 sistemi regionali differenti tra loro. Upb chiosa: “Le innovazioni istituzionali dovranno essere calate nei singoli modelli regionali” e il Dm 77 “lascia aperte molte soluzioni, anche riguardo al ruolo del mercato privato, che potrà trovare spazi di espansione piuttosto ampi a seconda delle scelte attuative delle Regioni”. Di conseguenza, prosegue l’Ufficio parlamentare di bilancio, “per assicurare priorità alla funzione di programmazione, mantenendo da un lato il controllo sulla spesa e dall’altro lato l’impegno per l’appropriatezza e l’equità nell’erogazione delle prestazioni, appare rilevante il ruolo che assumerà il Distretto”, che poi è l’hub di accesso a tutte le prestazioni dell’azienda sanitaria.
Insomma, si fa presto a dire Pnrr. Peraltro, osserva l’Upb, “alcuni aspetti importanti della riforma, quali ad esempio il meccanismo di integrazione con i servizi sociali gestiti dagli ambiti territoriali sociali (Ats), il cui personale dovrà essere presente nelle Case della comunità, e tra il Sistema nazionale prevenzione salute dai rischi ambientali e climatici e il Sistema di protezione dell’ambiente sono ancora in fase di definizione”.
Infine, nonostante l’obiettivo di livellare i gap tra le varie aree del Paese sull’assistenza territoriale, il focus evidenzia come “potranno rimanere significativi squilibri territoriali nella disponibilità di Case della comunità e Ospedali di comunità e, per quanto riguarda l’assistenza domiciliare, le Regioni più avanzate hanno preteso una compensazione a fronte di un riparto volto a uniformare i punti di arrivo”. Inoltre, si è cercato di rispettare il vincolo del 40% delle risorse da destinare al Sud, ma l’obiettivo non risulta raggiunto in particolare sulle Centrali operative territoriali, per cui la quota si ferma al 34%. Infine, ecco il monito dell’Upb, che vale anche in chiave di riforma sull’autonomia differenziata: “Per equiparare la quantità e la qualità dei servizi nel Paese è necessario operare uno sforzo collettivo volto a garantire più risorse alle aree più deboli”.
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