Scarlattina: aumentano i casi, ma per gli esperti nessun allarme
Dopo i dati Ecdc sulla recrudescenza in Europa, il ministero della Salute ha alzato la soglia di attenzione. Il pediatra del Gemelli a Nursind Sanità: "Servirà tempo per capire se lo scenario si aggrava"

È sempre colpa, indirettamente, della pandemia. L’aumento vertiginoso dei casi da streptococco di gruppo A (iGas) e scarlattina in Italia rappresenta un’inversione di tendenza dopo un lungo periodo di impatto ridotto durante l’emergenza Covid-19. L’impennata è anche dovuta alle difficoltà del sistema immunitario che ora si trova più esposto a virus e batteri dopo anni di distanziamento e mascherine. Come si sa, le autorità sanitarie nazionali e internazionali hanno alzato la guardia. Il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc) e l’ufficio regionale dell'Oms per l'Europa hanno fatto scattare l’allarme, già rispetto alla seconda metà del 2022, in particolare su Irlanda, Gran Bretagna e Irlanda del Nord, ma anche su Svezia, Olanda e Francia. Nell’Isola di smeraldo, ad esempio, si sono registrati un centinaio di casi nei primi due mesi dell’anno, contro i sette dello stesso periodo del 2022.
Il ministero della Salute italiano, a sua volta, ha emanato a metà aprile una circolare in cui si chiede che le infezioni correlate a GAS, quali faringotonsilliti e scarlattina, “siano identificate e trattate tempestivamente con antibiotici per ridurre il rischio di potenziali complicanze, come iGAS, e ridurre la trasmissione successiva”. “Le infezioni iGAS – prosegue il documento – possono presentarsi inizialmente con sintomi aspecifici (febbre, stanchezza generale, perdita di appetito) e i bambini, in particolare, possono avere una rapida progressione verso una forma di malattia grave”. Dunque, secondo il testo, “i genitori/tutori dovrebbero richiedere una valutazione clinica nel caso il proprio bambino presenti sintomi preoccupanti e non migliori clinicamente”. Poi, in caso “ricovero ospedaliero, devono essere implementate le misure di protezione respiratoria. Gli operatori sanitari devono sempre seguire le precauzioni standard ed eseguire una valutazione del rischio per valutare la necessità di ulteriori misure precauzionali”. Il ministero evidenzia inoltre che “importanti misure di protezione sono un'adeguata igiene delle mani e delle vie respiratorie e un'adeguata aerazione degli ambienti interni” oltre alla “eliminazione di possibili comportamenti promiscui (ad esempio, condividere utensili, bicchieri e oggetti personali, ecc.)”.
Intanto però cresce la preoccupazione in particolare per la scarlattina e naturalmente i casi interessano soprattutto la fascia di età fino a 15 anni. Per fortuna le infezioni non appaiono più invasive del normale e Piero Valentini, direttore dell’Unità operativa semplice dipartimentale di Malattie infettive pediatriche del Policlinico Gemelli di Roma, getta acqua sul fuoco con Nursind Sanità: “Se c’è qualcosa di realmente modificato nell’epidemiologia della malattia, lo vedremo nell’arco del tempo. Capiremo nei prossimi anni se in qualche modo è cambiato l’ecosistema batterico e magari c’è un ceppo più cattivo che prevale. Ma non lo direi adesso. L’epidemiologia non si basa sullo scatto di una singola foto, serve la replicabilità dei dati, dunque un film più lungo che ci racconti cosa succede effettivamente. In ogni caso, non abbiamo visto cose troppo diverse dagli altri anni sulle malattie infettive in genere”. Poi Valentini aggiunge: “Una differenza su intensità e numero dei casi è plausibile perché la pandemia e le limitazioni draconiane avevano creato una minore esposizione agli agenti infettivi. Quindi le riaperture hanno generato un effetto esplosivo. Più che altro, la cosa che abbiamo notato è che sulle malattie infettive in generale si è estesa la fascia d’età interessata. Prendiamo le bronchioliti: quest’anno le abbiamo rilevate anche su bambini ben oltre il primo anno di vita”.
I piccoli reduci da patologie virali come influenza e varicella sono a maggior rischio di sviluppare una malattia da iGas, per cui, ancora secondo il ministero della Salute è “opportuno valutare l’eventuale offerta della relativa vaccinazione ai conviventi e ai contatti stretti di caso (inclusi compagni di classe ed insegnanti), in base alla situazione epidemiologica e allo stato vaccinale del soggetto”. In ogni caso, come malattia infettiva acuta, la scarlattina è appunto dovuta a un’infezione da batteri streptococchi beta-emolitici di gruppo A. L’età scolare è naturalmente quella più interessata, ma non mancano i casi in bimbi molto piccoli. La sintomatologia più comune include la comparsa di macchioline rosse sul corpo (esantema). Ma i segni riguardano anche febbre superiore a 38 gradi, malessere, faringite, ingrossamento dei linfonodi al collo, a volte mal di testa o dolore addominale. Il periodo di maggior contagio va, in Italia, da dicembre ad aprile e la trasmissione si realizza tramite il contatto con muco e saliva. Il batterio ha un’incubazione di 3-5 giorni. La diagnosi si fa con tampone faringeo e la terapia consiste in antibiotici, da assumere entro 10 giorni dalla manifestazione dei sintomi.
L’allarme è salito a tal punto che in varie zone d’Italia le farmacie stanno attivando lo screening proprio a mezzo tamponi per individuare la presenza di streptococco. È importante, comunque, che il ricorso a questi ultimi corrisponda a una sintomatologia evidente, altrimenti non ha alcun rilievo la positività di un tampone a fronte di una condizione asintomatica. Sul versante numeri, preoccupa in particolare il Veneto, con quasi 1.200 casi in soli tre mesi, dieci volte in più rispetto all’anno scorso. A Belluno, ad esempio, i pediatri di libera scelta hanno segnalato 73 infezioni dall’inizio dell’anno, contro le 28 del 2019, ultimo anno pre-pandemia. Ma Vicenza è la più colpita con oltre 300 segnalazioni. C’è da dire che la scarlattina comporta l’obbligo di segnalazione, tuttavia non esiste un registro nazionale di monitoraggio, per cui non esistono numeri precisi. “Abbiamo il vizio di non farle le segnalazioni – chiosa Valentini in chiusura – Stiamo provando a monitorare meglio con i cosiddetti ‘pediatri sentinella’, ma c’è ancora tanta strada da fare”.
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