06 Giugno 2023

Infermieri: si allarga il buco tra fabbisogni e laureati. Ecco i numeri

Schillaci fa sue le cifre Agenas e prevede oltre 61mila professionisti in più alla scadenza del 2026. L’esperto a Nursind Sanità: “Stima troppo ottimistica”. Bottega (Nursind): “Serve una svolta”

Di Ulisse Spinnato Vega

“La stima di oltre 61mila infermieri in più da qui al 2026 mi pare ottimistica, ma vorrei capire se si riferisce ai laureandi attesi o se è un calcolo fatto sulla base dei posti messi a bando dagli atenei”. Stimolato da Nursind Sanità, Angelo Mastrillo, docente in Organizzazione delle professioni sanitarie dell'università di Bologna e segretario della Conferenza dei corsi di laurea delle professioni sanitarie, fa le pulci alla previsione del ministro della Salute, Orazio Schillaci, che ha rilanciato i numeri di Agenas e ha preconizzato per il personale infermieristico “di disporre di circa 61.760 unità aggiuntive rispetto al livello attuale” alla scadenza del Pnrr, così da far fronte alle croniche carenze di organico.

Mastrillo si è guadagnato sul campo una spiccata autorevolezza in materia di statistiche sulla formazione e sull’inserimento del personale sanitario. Secondo le sue puntigliose e molto compulsate tabelle avremo meno di 39mila laureati in Scienze infermieristiche nel triennio 2023-2025, con una media inferiore a 13mila all’anno (comunque superiore ai 10-11 mila degli ultimi anni), “quindi servirebbero circa 23mila laureati nel solo 2026 per raggiungere la soglia prevista da Agenas, un numero che mi sembra un po’ troppo ottimistico”, spiega il docente di Bologna. È vero che i posti disponibili nelle università stanno aumentando e nel 2022 hanno superato quota 19mila. Ma con un tasso di laureati che storicamente non arriva al 75% degli ingressi negli atenei, servirebbe un balzo a circa 32mila posti nel 2023 per poi raggiungere all’incirca quota 23mila laureati nel 2026. Impensabile.

Mastrillo prevede comunque un ulteriore incremento: “Su Input della Crui le università potrebbero forse arrivare a 25mila posti messi a bando nel prossimo anno accademico, ma più probabile che la crescita rispetto al 2022 sia del 20%, quindi intorno ai 22mila”. Con una proiezione sui laureati del 2026, dunque, a quota 15mila circa, non di più. “È difficile andare oltre anche perché molti atenei negli anni scorsi hanno già compiuto enormi sforzi per aumentare i posti”, rende atto il professore di Bologna. Nel 2022 ai già citati 19mila posti disponibili nelle università hanno corrisposto 26mila domande da parte dei giovani, con un gap di quasi 5mila posizioni tra l’offerta degli atenei e la programmazione delle Regioni. Le domande, dunque, continuano a superare i posti offerti, “ma il rapporto è 1,3, il più basso mai registrato e al Nord siamo in alcuni casi sotto l’uno a uno – chiosa Mastrillo – Perché devo fare l’infermiere se guadagno così poco e affronto questi carichi di lavoro?”.

Rimane il vulnus del Meridione. “Lì abbiamo oltre 10mila domande su 5mila posti, come l’anno scorso. Dunque ci sono 5mila studenti che restano fuori. Una volta andavano al Nord a studiare infermieristica e rimanevano lì a lavorare. Oggi le famiglie non ce la fanno più a mantenerli nelle città settentrionali – riflette il segretario della Conferenza dei corsi di laurea delle professioni sanitarie – Allora investiamo sui posti a bando negli atenei del Sud. Le università si stanno già sforzando, ma si può fare ancora meglio”. Il crollo di attrattività è comunque evidente, basti considerare che le 26mila domande dell’anno scorso sono poco più della metà delle oltre 44mila annue di un decennio fa. Il buco così continua ad allargarsi, perché a fronte di un fabbisogno che si aggira tra le 17mila e le 19mila unità annue, abbiamo appunto 10-12mila laureati.

Secondo Schillaci, “non possiamo ignorare che la vera emergenza è la capacità di attrattività del nostro servizio sanitario che deve offrire ai medici e agli infermieri prospettive di carriera e incentivi economici per arrestarne la fuga”. E allora ecco la soluzione prospettata dal ministro per cui “stiamo pensando ad accordi con Paesi extraeuropei che potrebbero metterci a disposizione professionisti già ben formati dal punto di vista sanitario e della conoscenza della nostra lingua. Penso ad esempio all’India”. La proposta ha subito suscitato una ridda di reazioni e Mastrillo commenta: “Schillaci è competente in materia, essendo stato preside di facoltà e rettore, l’idea peraltro è encomiabile, anche perché risulta che gli indiani, ad esempio, siano formati bene. Ma mi chiedo: perché dovrebbero venire da noi quando possono guadagnare anche il doppio in Gran Bretagna, Germania o Svizzera? Il problema di una professione poco attrattiva in Italia non lo eludi rivolgendoti ai Paesi extra Ue, a meno che l’intento non sia quello di puntare al ribasso sul fronte delle professionalità”.

Sul tema è intervenuto anche il segretario nazionale del Nursind, Andrea Bottega: “La soluzione di importare infermieri dall’estero l’abbiamo già provata 20 anni fa. Ora bisogna dare una svolta, è necessario un investimento forte in termini di stipendi e di maggiore autonomia professionale, rendendo al contempo sostenibili i carichi di lavoro”. La Fnopi, Federazione nazionale ordini professioni infermieristiche, ha ricordato invece i dati circa gli infermieri stranieri presenti in Italia: 25mila a fine 2022 con regolare procedura di ingresso. Dato cui vanno aggiunti circa 11mila professionisti immessi durante la pandemia e altri 1.800 per gli effetti del decreto Ucraina. Quindi circa 38mila in totale. “Questa fase delle deroghe all'esercizio professionale istituita durante il periodo pandemico è una fase che adesso dobbiamo chiudere – ha commentato Fnopi –. È necessario valorizzare innanzitutto gli infermieri che hanno studiato e svolto il tirocinio in Italia, agendo su tutte le leve a disposizione per trattenerli nel nostro Servizio sanitario nazionale, scongiurando le fughe all’estero”.

 

 

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