03 Novembre 2023

Liste d'attesa, i medici: "Il Governo punta sul lavoro extra ma sbaglia"

Sentiti da Nursind Sanità, Vergallo (Aaroi-Emac): "In manovra si parla di 'merito', ma in realtà si vuol dire 'straordinario'"; Di Silverio (Anaao): "Non serve caricare di ore chi è già in servizio"

Di Caterina D'Ambrosio
Liste d'attesa, i medici: "Il Governo punta sul lavoro extra ma sbaglia"

Le buone intenzioni camminano su gambe fragili. È quello che ormai, senza troppe remore, molti medici e infermieri dicono delle misure previste in manovra per l’abbattimento delle liste d’attesa. A fronte di finanziamenti definiti dallo stesso Governo maggiori rispetto al passato, i fondi messi a disposizione per ridurre gli arretrati finiranno in buona parte al pagamento di straordinari o a prestazioni a gettone di professionisti privati.

 

La cronica mancanza di personale lamentata dai professionisti del Ssn, infatti, non viene affrontata con il risultato che nelle sale operatorie, nei pronto soccorso e i day hospital i camici più numerosi siano quelli delle cooperative o, appunto, dei gettonisti. A dirlo a Nursind Sanità è Alessandro Vergallo, medico anestesista degli “Spedali Civili” di Brescia e presidente nazionale dell'Associazione anestesisti rianimatori ospedalieri italiani (Aaroi-Emac): "Gran parte di queste risorse sono state destinate in misura crescente per il privato, allargando le prestazioni anche agli specialisti ambulatoriali. Un atteggiamento che consideriamo scorretto perché parliamo di prestazioni previste dal nostro Ccnl, in questo modo si triplica la spesa pubblica a favore del privato".

 

Una situazione che, tra le altre cose, non tiene nel debito conto cosa significhi per il personale sanitario un sovraccarico di lavoro straordinario che dura, ormai, da anni. "Nella manovra – continua Vergallo – si parla di merito quando, in realtà, si vuole dire ‘straordinario’. Tutto ciò per noi è offensivo, dato che per le sue stesse caratteristiche lo straordinario non è programmabile. Di fatto si chiede lavoro in più che è regolamentato in tutt’altro modo". Un’organizzazione del lavoro che influisce anche sulla sicurezza delle prestazioni. "Certamente avere trasfusioni di personale che arriva, ad esempio, dalle cooperative crea situazioni di discontinuità di vario grado con conseguenti peggioramenti di qualità dei servizi erogati. Banalmente – conclude -, per noi le pause tra i turni sono fondamentali per garantire la necessaria sicurezza delle cure ai pazienti, soprattutto nei reparti ad alto contenuto tecnologico come rianimazione e anestesia ma anche i pronto soccorso. E a questo punto non escludiamo di ricorrere a uno sciopero generale”. Insomma, il ministero della Salute è incappato in un corto circuito che non risponde nel concreto alle necessità dei pazienti e dei professionisti sanitari alle prese con una situazione non più sostenibile.

 

A confermarlo anche il segretario generale di Anaao Pierino Di Silverio che a Nursind Sanità dice: "C’è un problema di fondo che non viene mai analizzato. Le liste di attesa – spiega - non sono il problema, ne sono l’effetto. Cercare di recuperarle finanziando un lavoro extra di un personale che già normalmente lavora 60 ore settimanali anziché 34 per coprire la carenza ha due effetti negativi. Il primo è che non troverai mai personale disposto a farlo e il secondo che non è così certo che le liste verranno diminuite, anzi. Significherebbe togliere tempo e professionisti dal lavoro ordinario. E’ un cane che si morde la coda”. Peraltro, prosegue Di Silverio, "non è detto che gli stessi privati possano contribuire, dato che gli accreditati già oggi dovrebbero ridurre le liste d’attesa". Una situazione che danneggia in primis i cittadini che, secondo Anaao, dovrebbero essere più consapevoli di quanto sta accadendo. "Noi abbiamo provato con campagne di informazione a sensibilizzare tutti ma ora non ci resta che lo sciopero, facendo mancare le prestazioni".

 

Il nodo, insomma, rimane sempre la carenza di personale. Ne serve di più, come ribadisce il segretario generale di Anaao, ma serve anche "un modello organizzativo diverso, più flessibile potenziando gli ospedali medi e grandi. Al netto dei disinvestimenti che si effettuano da vent’anni, ciò che emerge con tutta evidenza è l’aumentare delle cronicità che richiede un modello" per cui "la cura delle acuzie" non basta più. "Cominciando dalla presa in carico a casa del paziente, sfruttando le Case di comunità e creando presidi di primo livello che possano anche alleggerire il carico sui pronto soccorso e gli ospedali". Secondo Di Silverio, dunque, bisogna "creare realmente un percorso integrato di cura, ognuno con il suo ruolo con strumenti idonei, e investire su alta tecnologia, implementazione infrastrutturale e modello contrattuale. Oggi invece - conclude - siamo schiacciati dalla burocrazia che non ci consente di fare appieno il nostro lavoro".

 

 

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