Caso Crosetto, ecco cosa c'è da sapere sulle pericarditi
Stamani il ricovero d'urgenza del ministro della Difesa. Dai sintomi alle cause fino alle terapie, parlano gli esperti del Gemelli

Dopo il ricovero d’urgenza stamani a Roma del ministro della Difesa, Guido Crosetto, per sospetta pericardite, si accendono i riflettori sull’infiammazioni del pericardio e cioè della 'sacca' che avvolge e protegge il cuore, costituita da due membrane separate da un sottilissimo strato di liquido. Il sintomo più comune è il dolore al petto, proprio quello che ha spinto il ministro a recarsi al pronto soccorso. Se ben curate, comunque, come spiegano gli esperti del Gemelli, le pericarditi si risolvono senza problemi; diversamente, possono diventare un problema serio.
Ma torniamo ai sintomi. Il 5% degli accessi al pronto soccorso per dolore toracico è dovuto ad una pericardite, cioè all’infiammazione del pericardio. Il primo campanello d’allarme di una pericardite è un forte dolore nella parte anteriore del torace, che può irradiarsi anche alla spalla e al braccio sinistro e che allarma molto il paziente, che pensa di avere un infarto. "Ma il dolore della pericardite tipicamente (anche se non sempre) si attenua se il paziente si mette seduto con il busto inclinato in avanti, mentre si accentua quando ci si sdraia", spiega Laura Gerardino, dirigente medico della UOC Riabilitazione e Medicina Fisica, referente dell’Ambulatorio delle Pericarditi Ricorrenti - CEMI di Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs e docente di semeiotica medica presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, campus di Roma. "Questo dolore può aumentare quando il paziente inspira profondamente oppure quando deglutisce. Ciò perché il pericardio si trova in diretta connessione con l’esofago; quando il paziente deglutisce, se il pericardio è infiammato provoca dolore".
Il paziente con pericardite può avere anche una sensazione di 'fame d’aria' (dispnea) da sforzo, palpitazioni e a volte anche un po’ di febbre che magari si ripresenta dopo essere uscito da una recente infezione virale (es. influenza, Covid).
In un terzo dei casi, quando il medico visita il paziente può trovare dei segni caratteristici. All’auscultazione del cuore con il fonendoscopio, può avvertire degli sfregamenti caratteristici che assomigliano al rumore della neve fresca calpestata.
"In presenza di questi sintomi - consiglia Gerardino - il paziente deve fare subito un elettrocardiogramma (ECG) che in circa la metà dei casi presenta alterazioni tipiche della pericardite e potrebbe far escludere invece un’ischemia cardiaca o un infarto. Ma l’esame forse più importante di tutti è l’ecocardiogramma che consente di vedere se, oltre all’infiammazione dei foglietti pericardici, si è prodotto un versamento, cioè del liquido tra i due foglietti stessi; se questo liquido si accumula velocemente e in abbondanza può portare alla condizione detta di tamponamento cardiaco, che rappresenta un’emergenza medica e che richiede un ricovero e un intervento immediato".
Quanto alle cause, spesso la pericardite è preceduta da una malattia virale o batterica, può essere legata ad una malattia autoimmune o a precedenti interventi sul cuore, ma nel 70% dei casi, una causa vera e propria non è rintracciabile. "Questa malattia, se ben trattata – rassicura l’esperta - ha un decorso assolutamente benigno; ma spesso è caratterizzata da un’elevata frequenza di recidive, che compaiono nel 20-30% dei casi, dopo il primo episodio (cioè a distanza di 4-6 settimane dalla guarigione). Queste pericarditi cosiddette ‘ricorrenti’ si verificano soprattutto nelle forme idiopatiche (quelle senza una causa nota), che spesso hanno delle caratteristiche auto-infiammatorie".
Infine la terapia: per 'spegnere' la pericardite, si utilizzano i farmaci anti-infiammatori non steroidei o l’aspirina, che vanno iniziati ad alte dosi e scalati poi lentamente. "La prevenzione delle recidive – spiega Gerardino - passa attraverso la prescrizione di un ulteriore farmaco, la colchicina che, nelle forme recidivanti, va assunta per almeno 6 mesi. Se il paziente presenta una pericardite secondaria ad una malattia autoimmune o se non risponde alla terapia con i farmaci anti-infiammatori, si possono utilizzare in alcuni casi selezionati i corticosteroidi. Infine, nel caso in cui il paziente soffra di pericarditi recidivanti, resistenti alla colchicina e dipendenti dalla terapia con steroidi (cioè appena si sospendono i cortisonici, la pericardite recidiva), si può ricorrere a terapie innovative, come gli antagonisti dell’interleuchina-1 (anakinra) che vanno somministrati per almeno 6 mesi e poi scalati lentamente".
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