18 Aprile 2024

"In 2 anni persi 32.500 posti letto e in 10 chiusi 95 ospedali"

Le società scientifiche di FoSSC lanciano l'allarme sulla tenuta del Ssn, con 29mila camici bianchi e 21mila infermieri che andranno in pensione entro il 2025. E avvertono: "Dodici Regioni su 21 non garantiscono i Lea, autonomia impensabile"

Di NS

Le societa scientifiche lanciano l'sos sulla tenuta del Ssn, tra liste d’attesa, mancanza di medici, di ospedali e di posti letto, concorsi deserti, specializzazioni senza iscritti e progressivo definanziamento che mettono a rischio il rispetto dell’articolo 32 della Costituzione e dei principi fondanti del nostro modello di cura.
In appena due anni, durante l’emergenza Covid, addirittura il numero dei posti letto è diminuito, e ne sono stati tagliati 32.508: nel 2020 erano 257.977, ridotti a 225.469 nel 2022. Si stima che, negli ospedali italiani, manchino almeno 100mila posti letto di degenza ordinaria e 12mila di terapia intensiva. Oggi a Roma, nella sede della rappresentanza in Italia del Parlamento e della Commissione europea, 75 società scientifiche riunite in FoSSC (Forum delle società scientifiche dei clinici ospedalieri ed universitari italiani) hanno chiesto al governo una grande riforma strutturale, con provvedimenti urgenti per salvare il servizio sanitario e mantenere il suo carattere universalistico.

L’età media dei medici, denunciano gli esperti, è sempre più elevata, con ben il 56% che ha più di 55 anni rispetto al 14% della Gran Bretagna e percentuali anche più basse in altri Paesi. Entro il 2025, andranno in pensione 29mila camici bianchi e 21mila infermieri, senza un sufficiente inserimento di nuovi professionisti. Circa 11.000 clinici ospedalieri (non in età da pensione) hanno già scelto di lasciare le strutture pubbliche fra il 2019 e il 2022. E sempre più giovani, formati a spese dello Stato (circa 150mila euro ognuno), vanno all’estero, dove ricevono stipendi anche tre volte superiori rispetto all’Italia e con condizioni di lavoro nettamente migliori. Diminuisce anche il numero dei nosocomi: in 10 anni ne sono stati chiusi 95, il 9%. Nel 2012 erano 1.091, nel 2022 sono calati fino a 996, con una riduzione più consistente per quelli pubblici (67 in meno, da 578 a 511). Non solo. Nel 2024, il finanziamento del Fondo sanitario nazionale è aumentato in termini assoluti rispetto al 2021, ma è diminuito rispetto al Pil ed eroso in modo molto consistente dalla maggiore inflazione. Inoltre, queste risorse sono state in larga parte utilizzate per aumenti contrattuali irrisori del personale, che non sono in grado di contenere l’esodo dei medici.

 

"Dodici Regioni su 21 non garantiscono non la totalità, ma neppure la minima sufficienza dei Livelli essenziali di assistenza (Lea), cioè le cure considerate fondamentali. La maggioranza presenta infatti valori sotto la soglia in almeno una delle tre macroaree prese in esame: prevenzione, assistenza sul territorio e ospedale – spiega Francesco Cognetti, coordinatore del Forum -. E si tratta dei Lea attualmente in vigore che risalgono addirittura al Dpcm 29 novembre 2001, o meglio ai Dm del 1996 e 1999, aggiornati con il Dpcm 12 gennaio 2017, ma mai attuati". Inoltre, affermano le 75 società scientifiche, "l’introduzione dei nuovi parametri, pur pubblicati ad agosto 2023, è stata rinviata al 2025 per carenza di risorse. E le Regioni dovrebbero sobbarcarsi anche il cospicuo onere delle nuove prestazioni, la maggior parte delle quali sono divenute ormai parte integrante della corretta pratica clinica. Le più deboli e povere, in particolare quelle sottoposte a Piano di rientro, di certo non possono farlo". Le società scientifiche chiedono "come sia possibile solo pensare in queste condizioni al varo della legge sull’autonomia differenziata. Fenomeni drammatici, quali le liste di attesa per prestazioni diagnostiche necessarie e la eterogeneità per terapie che avrebbero un effetto positivo sul decorso di gravi malattie, nonché le attese interminabili, anche di giorni, nei pronto soccorso prima del ricovero nei reparti di degenza, sono dovuti a gravissime carenze strutturali ed organiche. È urgente risolvere questi problemi con una riforma strutturale e di sistema degli ospedali, con lo stanziamento di risorse davvero adeguate per rispondere ai principali parametri in vigore negli altri Paesi europei e con la vera realizzazione delle reti territoriali per patologie"

 

"Va anche osservato che tutti i Paesi europei, durante la pandemia, hanno prodotto aumenti del finanziamento pubblico alla sanità nettamente superiori al nostro – continua Cognetti -. Dal 2012 al 2021 l’incremento per l’Italia è stato solo del 6,4%, rispetto al 33% della Germania, al 24,7% della Francia e al 21,2% della Spagna". Negli ultimi 10-12 anni, i governi che hanno preceduto quello attuale hanno operato tagli irresponsabili, denunciano le società scientifiche. "Ma ora, anche nel 2024, il finanziamento del Fondo sanitario nazionale si attesta solo al 6,4% rispetto al Pil, come indicato nel Documento di economia e finanza dello stesso ministero dell’Economia, con la previsione di un’ulteriore diminuzione al 6,3% nel 2025 e 2026, fino al 6,2% nel 2027. Al netto dell’inflazione, quest’anno risulta addirittura una diminuzione delle risorse pubbliche destinate alla sanità del 6,2% rispetto al 2021. Una tendenza preoccupante, visto che l’Ocse per i Paesi che investono poche risorse in sanità, come l’Italia, prevede un auspicabile investimento pari ad almeno l’1,4% in più rispetto al Pil 2021, che equivale ad un aumento annuo di ben 25 miliardi di euro". 

 

 

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