24 Maggio 2024

Sanità, l'incognita risorse e l'ombra lunga del Patto di stabilità

In attesa delle scelte programmatiche del governo e dei nuovi vincoli Ue, i numeri del Def testimoniano l'inarrestabile arretramento del finanziamento al Ssn. Longo (Bocconi): "Ormai inutile dichiarare l'universalismo. Non si può coprire tutto"

Di Ulisse Spinnato Vega
Sanità, l'incognita risorse e l'ombra lunga del Patto di stabilità

Il piano è già inclinato verso il basso. Ma il rischio è che il nuovo scenario europeo nei prossimi anni possa renderlo addirittura più ripido. Il Def 2024, che non contiene le indicazioni programmatiche di finanza pubblica, in attesa che si definisca il piano di risanamento fiscale per la sostenibilità dei conti dettato dal Patto di stabilità, vede a consuntivo un rapporto tra spesa sanitaria e Pil al 6,3% per l’anno scorso. Gli esborsi per la salute sono stati pari a 131,1 miliardi di euro, oltre 3,6 miliardi in meno di quanto previsto dalla NaDef 2023 (134,7 miliardi). Dove sono finiti questi soldi? In gran parte sono stati spostati sul 2024, passaggio che spiega il roboante aumento, sulla carta, dei fondi per il Ssn nell’anno in corso: 7,6 miliardi in più rispetto al 2023 (+5,8%) a 138,7 miliardi di euro.

Un salto che la Fondazione Gimbe ha definito “illusorio”. Infatti, in parte è dovuto allo scivolamento su quest’anno della spesa attesa nel 2023 per i rinnovi contrattuali 2019-2021, non perfezionati l’anno scorso a beneficio del personale dirigente e convenzionato. In parte ai costi correlati ai professionisti sanitari per il triennio 2022-2024 e, addirittura, all’anticipo del rinnovo per il triennio 2025-2027. “Una previsione poco comprensibile, visto che la Legge di Bilancio 2024 non ha affatto stanziato le risorse per questi due capitoli di spesa”, ha chiosato ancora il Gimbe. Senza dimenticare che le spese per contrastare la pandemia sono state inferiori rispetto al previsto.

Fatto sta che la spesa sanitaria del 2023 si è ridotta appunto al 6,3% del Pil contro il 6,7% del 2022. E scenderà ulteriormente al 6,2% nel 2027. In termini assoluti salirà del 2% annuo secondo il Def (fino a 147,4 miliardi nel 2027), è vero, ma nel frattempo la crescita media annua nominate è attesa al 3,1% nel 2025-2027. Morale della favola: i soldi in più basteranno a stento a far fronte ai rincari inflattivi. Eppure ci sono delle sfide finanziarie per il Ssn che attendono risorse precise e robuste: c’è da proseguire sul percorso di abolizione del tetto di spesa per il personale sanitario, come promesso dal governo, così da far fronte in modo strutturale alla carenza di personale. E in più servono fondi per le prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale e di protesica, dato che è stato rinviato all’anno prossimo, in accordo con le Regioni, l’aggiornamento tanto atteso dei nomenclatori tariffari. Un problema, questo, che ha a che fare la concreta applicazione dei nuovi Lea, ancora disattesa a otto anni dalla loro approvazione.

E che dire della sfida, sul fronte della spesa corrente, derivante dall’auspicata realizzazione delle strutture previste dalla riforma dell’assistenza territoriale disegnata dal Pnrr? Il Dm 77 richiede quasi 2,5 miliardi di euro in più a regime, che serviranno anche a coprire 20mila nuovi infermieri di famiglia e comunità. Pure la Corte dei conti ha messo in fila i problemi, per cui servono “degli interventi che dovranno essere previsti per affrontare criticità evidenti: le carenze di personale, la lunghezza delle liste d’attesa e l’insufficienza dell’assistenza territoriale, le difficoltà di funzionamento dei meccanismi di controllo della spesa farmaceutica e per dispositivi medici”. Tuttavia, secondo i magistrati contabili, “le misure finora assunte non sembrano in grado di rispondere strutturalmente alle difficoltà che caratterizzano ormai in maniera diffusa tutte le strutture pubbliche. Oltre a quanto avviene nel settore dell’emergenza e urgenza, infatti si accentuano i problemi legati ai pensionamenti, all’aumento dei casi di ‘fuga dal pubblico’, ma anche di ricerca di opportunità di lavoro all’estero, legata a condizioni economiche più vantaggiose”.

Insomma, il vero guaio è la carenza di personale, gli stipendi bassi e le condizioni di impiego che rendono sempre meno attrattive le professioni sanitarie. Mentre, per paradosso, secondo Anac sono stati spesi 1,7 miliardi negli ultimi cinque anni per medici e infermieri gettonisti. Uno scenario fosco da inserire adesso nel duro quadro dell’applicazione del Patto di stabilità riformato che sta scaldando i motori dopo la lunga sospensione connessa alla pandemia e che vedrà a giugno l’Italia finire in procedura di infrazione per deficit eccessivo. Il governo di Roma sarà costretto a operare una correzione a lungo termine (quattro-sette anni) per riportare il deficit verso l’obiettivo dell’1,5% del Pil e il debito su una traiettoria discendente. I numeri ufficiali si sapranno solo in autunno, ma l’esborso atteso per il nostro Paese dovrebbe aggirarsi intorno ai 10-11 miliardi annui, che si aggiungono ai circa 18-19 miliardi da trovare soltanto per le misure da confermare in legge di Bilancio. Roba da far tremare i polsi, numeri che rischiano di colpire ulteriormente il Fondo sanitario nazionale.

Non a caso, pochi giorni fa il Ragioniere generale dello Stato, Biagio Mazzotta, ha avvisato che la spesa corrente destinata a finire sotto i nuovi vincoli ammonta a 1.072 miliardi di euro. E la sanità è la seconda voce dentro il calderone, dopo la previdenza. Naturalmente si tratta di argomenti tabu per la politica in campagna elettorale, ma Francesco Longo, docente all’Università Bocconi, ricercatore del Cergas Bocconi (Centro di ricerca sulla gestione dell’assistenza sanitaria e sociale) ed economista sanitario, non si nasconde dietro un dito. A Nursind Sanità spiega: “La spesa per il Ssn non aumenterà, abbiamo il 6,3% del Pil nel secondo Paese più vecchio del mondo e dichiarare ancora l’universalismo non è possibile. Allora meglio definire delle priorità, perché non tutto si può coprire, dobbiamo dircelo chiaramente”.

Longo ha un’idea chiara su cosa prediligere e soprattutto su cosa rivedere o ricollocare: “Dobbiamo togliere dalla sanità la long term care e i ricoveri senza contenuto clinico vero, quelli per i non autosufficienti. Mentre dobbiamo concentrare le prestazioni ambulatoriali sui cronici, mettendo in lista d’attesa gli occasionali”. Rispetto alla nascente riforma dell’assistenza territoriale voluta nel Pnrr, Longo non crede sia un investimento che farà risparmiare: “È un esborso secco, perché aumentano gli standard assistenziali. Ma il problema è che comunque manca il personale, a partire dagli infermieri. E mancheranno in ogni caso perché non si trovano, le università non riescono a formarli e scarseggia la vocazione. Non a caso vanno deserti anche i posti da assistente sociale o educatore: in una società narcisistica bisognerebbe recuperare il gusto e il senso per i lavori di cura”. L’esperto si riserva infine una battuta sul dibattito che riguarda le liste d’attesa: “Se il sistema non copre tutto, come facciamo a predicare il loro azzeramento? Chiaramente generiamo disagi e burnout nel personale, perché pretendiamo di svuotare il mare con il cucchiaino”.   

 

 

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