04 Luglio 2024

"Servono regole più snelle per la governance dei farmaci"

L'assemblea di Farmindustria conferma Cattani alla presidenza e rivendica una legislazione al passo con i progressi del comparto: produzione a 52 miliardi di euro nel 2023 e domande di brevetti cresciute del 35% in cinque anni

Di Ulisse Spinnato Vega
Marcello Cattani
Marcello Cattani

Il nodo caldissimo della competitività europea, della sovranità produttiva del Continente, dell’attrattività per gli investimenti e dell’autonomia strategica nelle catene di approvvigionamento finisce sul tavolo dell’industria farmaceutica italiana. Durante l’assemblea odierna di Farmindustria l’allarme è risuonato in modo nitido e le imprese del comparto hanno calato la discussione sul loro terreno d’azione: “Bisogna avere il coraggio di rivedere completamente la proposta di revisione della legislazione farmaceutica che indebolisce la proprietà intellettuale. Proprio mentre Usa, Cina, Singapore, Emirati Arabi, Arabia Saudita mettono in campo politiche per rafforzare la propria struttura industriale. Basti pensare che il gap di investimenti in R&s tra Ue e Usa è passato in 20 anni da 2 miliardi di dollari a 25”.

Farmindustria ha rincarato: “Il 60% dei nuovi lanci di medicinali avviene negli Usa mentre in Ue è meno del 30%. Secondo recenti dati Efpia, la Cina nel 2023 ha superato l’Europa come area di origine di nuovi farmaci: su 90 molecole a livello globale 28 arrivano dagli Usa, 25 dalla Cina, 17 dall’Ue. Cina che in R&s cresce a ritmi tre volte superiori a quelli del nostro Continente. Non bisogna perdere ulteriore terreno con scelte sbagliate che penalizzano l’attrattività e ci espongono a dipendenze strategiche. Si consideri che già oggi il 74% dei principi attivi di uso più consolidato dipende infatti da produzioni in Cina o in India così come il 60% dell’alluminio, materia prima fondamentale per le nostre imprese”.

Morale? “Recuperare competitività significa cambiare in fretta la rotta e la prospettiva – hanno spiegato le imprese del farmaco – la salute deve diventare prioritaria ed essere considerata un investimento che genera anche risparmi sociali ed economici evitando altri costi. E l’industria farmaceutica deve essere percepita come un’alleata su cui contare perché trasforma le conquiste scientifiche in cure per i cittadini”. Rispetto all’Italia, invece, “è indispensabile una governance farmaceutica davvero moderna, con regole nuove, chiare, adatte alla rapidità dell’innovazione, superando il sistema del payback, tassa iniqua e aggiuntiva che grava sulle aziende per quasi 2 miliardi nel 2024. Riforme da accompagnare a una semplificazione per la ricerca clinica e a regole per consentire l’uso del dato clinico per necessità di ricerca, nel rispetto della privacy”.

Tuttavia, è “fondamentale anche ridurre i tempi di accesso all’innovazione per i cittadini, ancora troppo lunghi - 14 mesi a livello nazionale, ulteriormente aggravati da quelli (in media 10 mesi) a livello regionale - con evidenti differenze sul territorio, che generano disuguaglianza e disomogeneità”. Ma le aziende farmaceutiche non hanno mancato poi di battere cassa: “Occorre riconoscere il valore dell’innovazione e rivalorizzare alcuni farmaci di grande diffusione e a basso costo, per garantire così la sostenibilità industriale messa in difficoltà a causa di un aumento strutturale dei costi. Con un finanziamento basato sulle reali esigenze di salute”.

L’assemblea di Farmindustria ha tra l’altro confermato all’unanimità il 53enne presidente Marcello Cattani per il biennio 2024-2026 e ha eletto il Comitato di presidenza. La sigla confindustriale rivendica con orgoglio i risultati di un comparto produttivo che alimenta la crescita del Paese, si caratterizza per l’alto valore aggiunto e genera occupazione di qualità: la produzione ha toccato i 52 miliardi di euro nel 2023 e oltre 49 di export (il Lazio prima regione per le esportazioni), nonostante le difficoltà causate dall’aumento dei costi del 30% rispetto al 2021. Gli investimenti sul territorio sono stati pari a 3,6 miliardi, di cui 2 in R&s. Gli addetti sono 70mila (+2% nel 2023 e +9% in cinque anni), con un incremento di quasi il 20% di under 35 nel quinquennio, il 90% di laureati o diplomati e con un’elevata presenza di donne, il 45% del totale. Lombardia, Lazio e Toscana sono peraltro le regioni sul podio per numero di occupati. Senza dimenticare che negli ultimi cinque anni la crescita delle domande di brevetto farmaceutico in Italia ha toccato il 35%, rispetto al +23% dei grandi Paesi Ue.

Cattani ha chiosato: “Al primo posto a livello mondiale per crescita dell’export tra il 2021 e il 2023. È il traguardo raggiunto dall’industria farmaceutica in Italia grazie a imprese, internazionali e nazionali, che continuano a investire nel Paese”. Un comparto tra l’altro caratterizzato dalla peculiarità tutta nostrana per cui ben il 42% delle aziende è a capitale italiano. E che detiene il primato europeo per la produzione “conto terzi”, con 3,6 miliardi nel 2023, il 23% del totale. L’obiettivo è adesso quello di cure “disegnate” sui singoli pazienti, ha delineato Farmindustria, con “tecnologie all’avanguardia per trattare molte malattie e correggere difetti del genoma, in una prospettiva One Health di rispetto della salute delle persone e del pianeta”.

Presente il ministro della Salute, Orazio Schillaci, che circa il sentito tema della proprietà intellettuale ha evidenziato: “Sulle proposte dell'Unione europea sulla legislazione farmaceutica ci sono degli aspetti positivi e anche negativi sui quali noi siamo intervenuti. Come positivo leggo che viene ribadita l'importanza dell'innovazione e anche di investire su ricerca e sviluppo e su questo non posso che essere d'accordo. Poi già nel 2023 noi abbiamo fatto come Italia un position paper molto chiaro perché ci sono dei punti che ci lasciano perplessi. Noi vogliamo che l'industria farmaceutica continui e investa maggiormente in Europa rispetto a quello che è avvenuto negli ultimi anni”. "Siamo in un mondo globale e abbiamo dei competitor importanti - ha aggiunto Schillaci - penso agli Stati Uniti o alla Cina e quindi dobbiamo cercare in qualche modo di rendere attrattivo l'investimento in Europa".

"Altri punti alla base della proposta - ha proseguito - sono condivisibili, come quando si chiede e si ribadisce che ci sia accesso ai farmaci, anche a quelli più innovativi, in tutti i Paesi dell'Ue, così come siamo d'accordo che bisogna investire per avere nuovi farmaci per malattie complesse. Però la proposta che parte da un incentivo modulare per le aziende che investono in Europa per commercializzare nuovi farmaci e anche per dare risposte a malattie per le quali oggi non c'è una terapia acclarata. Poniamo però l'attenzione al fatto che alcuni strumenti che possono essere utili per andare incontro a delle esigenze condivisibili, come ridurre la protezione dei dati da otto a sei anni e ridurre la market exclusivity per i farmaci da nove a otto anni, queste paradossalmente possono essere delle misure sbagliate che inducono le industrie a non investire più in Europa con dei gravi danni. Non possiamo far sì che chi porta innovazione e nuove cure per i cittadini veda l'Europa come un continente dove non è così utile investire".

Anna Maria Bernini, ministra dell’Università e della ricerca, ha invece firmato con Cattani, nel corso dell’assemblea, un protocollo d’intesa tra Mur, Crui e Farmindustria per rafforzare la partnership tra pubblico e privato. “È un accordo di collaborazione in cui crediamo molto – ha chiarito Bernini –. Riguarda le materie Stem e orienta le università verso percorsi di formazione sempre più adatti a ciò che il mercato richiede. Sul post-graduate, invece, ci sono i fondi per i cosiddetti dottorati industriali innovativi, cofinanziati da Mur e imprese farmaceutiche, che rendono via via più rapido il passaggio dalla formazione al lavoro”. Rispetto ai costi di formazione del personale sanitario italiano, che poi sempre più spesso emigra all’estero in cerca di migliori condizioni economiche e professionali, la ministra ha aggiunto: “L’emergenza investe gli infermieri ancor più dei medici e riguarda il settore ricerca in genere. Ecco perché stiamo lavorando anche sui corsi di infermieristica. Non bastano gli sgravi fiscali e non basta aumentare gli stipendi. Sono necessarie invece infrastrutture di ricerca, su cui le imprese farmaceutiche ci stanno aiutando tantissimo, che consentano ai professionisti di restare qui e di essere collegati alla comunità scientifica internazionale. Se isolo il ricercatore, non viene in Italia o dopo poco se ne va”.

 


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