Manovra e sanità: in Parlamento è un coro di critiche
Fuoco di fila in audizione. L'Istat evidenzia il calo della spesa per la salute nel 2023 e l'incremento dell'esborso diretto delle famiglie. Upb e Corte dei conti mettono il dito nella piaga della carenza di personale. Anche dal Gimbe era arrivato un duro attacco

Lo sforzo finanziario della legge di Bilancio sulla sanità non basta. Lo dicono in coro, pur con varie sfumature, le grandi istituzioni statistico-economiche e gli stakeholder sentiti in audizione sulla manovra dai parlamentari delle commissioni Bilancio di Camera e Senato.
I primi numeri, ma forse anche i più spietati, sono arrivati oggi da Istat: la spesa sanitaria è calata dello 0,4% a 130,2 miliardi di euro nel 2023 dopo l’impennata del periodo pandemico (dai 114,7 miliardi del 2019 a 130,8 miliardi del 2022) e nel frattempo è salito ancora a 40,6 miliardi l’esborso per la salute a carico diretto delle famiglie, con un incremento del 2,7% tra il 2019 e il 2023. Il presidente dell’istituto Francesco Maria Chelli ha messo quindi in evidenza che gli italiani costretti a rinunciare a curarsi sono ormai il 7,6% della popolazione (era il 6,3% nel 2019). Rispetto ai motivi, il 4,5% è andato a sbattere contro le infinite liste d’attesa (era il 2,8% nel 2019), mentre il 4,2% ha fatto marcia indietro per problemi economici e l’1% per la scarsa accessibilità dei servizi.
Passando al nodo del personale, ancora Istat ha fatto notare che “la dotazione e l'invecchiamento del personale medico rappresentano criticità per il comparto della sanità, anche alla luce del futuro aumento della domanda di cure dovuto alla dinamica della popolazione”. Ma soprattutto, ha aggiunto Chelli, i medici di base “sono la categoria, insieme agli infermieri, che desta maggiori preoccupazioni tra le professioni sanitarie per le prospettive future. Sono caratterizzati, infatti, da una struttura per età spostata verso le età prossime al pensionamento”, da un decremento tendenziale del numero degli occupati e da un incremento significativo del numero degli assistiti per ciascun medico.
“Nel 2022, ultimo anno per cui i dati sono disponibili – ha chiarito il presidente Istat - la dotazione complessiva di medici (generici e specialisti) è pari in Italia a 4,2 per mille abitanti, 0,2 punti in più rispetto al 2019; l'offerta è maggiore al Centro (4,8) e minore nel Nord-ovest e al Sud (4,0). I medici specialisti costituiscono l'81% circa dei medici totali; nel 2022 sono 3,3 ogni mille residenti, 0,3 punti in più rispetto al 2019”. “I medici di medicina generale sono 6,7 per 10mila abitanti e rappresentano il 15,7% dei medici totali", ha aggiunto Chelli. Si stima che circa il 77% abbia 55 anni e più, peraltro il loro numero è calato di oltre 6mila unità in un decennio, da 45.437 nel 2012 a 39.366 nel 2022, e il numero di assistiti pro-capite è cresciuto da 1.156 nel 2012 a 1.301 nel 2022.
Altrettanto difficile il quadro tratteggiato dall’Ufficio parlamentare di bilancio, di tenore completamente diverso rispetto alla grancassa suonata dal governo. “Nonostante la manovra preveda un rifinanziamento del servizio sanitario nazionale per importi crescenti - da 1,3 miliardi del 2025 a 8,9 dal 2030, comprensivi delle risorse per i rinnovi contrattuali - il tasso di crescita del finanziamento resta sempre inferiore a quello del Pil nominale programmatico”, ha spiegato la presidente Upb Lilia Cavallari. Anzi, “la distanza tra la spesa sanitaria e il finanziamento del Ssn aumenta significativamente nel periodo di previsione, tanto che il divario nel 2027 risulta circa triplo rispetto a quello del 2024”. Ciò comporta “un rischio significativo di aumento del disavanzo dei Servizi sanitari regionali che potrebbe protrarsi anche negli anni successivi al 2027”.
Inoltre, ha evidenziato l’autorità indipendente dei conti, “non viene affrontata la principale criticità del Ssn, ossia la carenza di personale sanitario”, visto che “non sono finanziate nuove assunzioni”. Torna dunque il nodo personale. E Upb ha poi rimarcato la presenza di “un altro gruppo di misure a favore di alcuni soggetti privati che operano nella sanità e nel campo della farmaceutica”. Tirando le somme, per Cavallari “la manovra, pur prevedendo risorse per gli obiettivi di carattere prioritario e di rilievo nazionale, non appare affrontare importanti criticità del Ssn, quali la carenza di personale”.
La Corte dei conti, a sua volta, ha allungato un’ombra sul futuro e ha evidenziato come “l'aumento di risorse destinato alla sanità corrisponde all'impegno assunto nel Piano strutturale ma, nonostante il rilievo (soprattutto nel 2026) delle risorse destinate, consente di rispondere solo parzialmente agli interventi considerati indispensabili per consolidare le prospettive del settore. Il rinvio di parte delle misure prefigurate nel Piano si accompagna alla mancanza di una chiara programmazione delle fonti a cui attingere e delle scelte che dovranno caratterizzare il comparto nel prossimo futuro”. Per i magistrati contabili la spesa sanitaria è comunque stabilizzata al 6,4% del Pil, in pratica il livello pre-Covid, con gli incrementi che la portano poco sotto i 142,9 miliardi nel 2025 e oltre i 152 miliardi nel 2027.
Secondo Enrico Flaccadoro, presidente di coordinamento delle Sezioni riunite in sede di controllo della Corte dei conti, “oltre ai rinnovi contrattuali, i nuovi fondi sono destinati a incrementare indennità specifiche, tra cui quelle riguardanti il Pronto soccorso: è da rilevare tuttavia che i ripetuti aumenti dell'indennità - a cui si aggiunge ora un limitato incremento del trattamento economico per i medici in formazione specialistica, in particolare per le specializzazioni meno ambite - non sembrano aver finora consentito di riorientare le scelte degli operatori sanitari”. A dimostrazione che i problemi strutturali non si risolvono con un obolo qui e lì in busta paga.
Infine, dal Cnel di Renato Brunetta sono arrivate le parole più morbide nei confronti della legge di Bilancio. Quindi “bene il reperimento di fondi per la sanità, per evitare” che questa voce “sia trattata come tutte le altre uscite che vanno a comporre la spesa netta”. Dunque, “è un segnale importante di attenzione, anche se non possiamo che ribadire la doppia sfida che sta affrontando la sanità pubblica: sovraccarico delle strutture per carenza di personale e aumento della domanda di cure dovuto all'invecchiamento della popolazione”, ha chiarito Brunetta. Il Cnel ha poi chiosato: “Sono sicuramente positive le misure a favore della natalità. Positive ma, purtroppo, insufficienti a contrastare la denatalità e quindi la glaciazione demografica. Pensiamo solo al fatto che una donna lavoratrice con prole ha un reddito ridotto della metà rispetto a una donna lavoratrice senza figli, sia per le penalizzazioni di carriera, sia per il maggior ricorso al part-time sia per la più frequente discontinuità lavorativa”.
Ieri, però, a picchiare duro in audizione era stata la Fondazione Gimbe, secondo cui mancano 19 miliardi di euro nel sistema salute da qui al 2030. “Le risorse stanziate non bastano a risollevare un Servizio sanitario nazionale in grave affanno, sono ampiamente insufficienti per finanziare tutte le misure previste dalla manovra e mancano all'appello priorità rilevanti per la tenuta della sanità pubblica”, aveva rilevato il presidente Gimbe Nino Cartabellotta. E aveva fornito poi i suoi numeri: “Calcolatrice alla mano le misure previste dalla manovra per il periodo 2025-2030 hanno un impatto complessivo di oltre 29 miliardi di euro, mentre le risorse stanziate ammontano a circa 10,2 miliardi di euro”. Ciò costringerà anche Regioni più virtuose a “tagliare i servizi o aumentare le imposte regionali”.
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