12 Novembre 2024

Non solo farmaci, tecnologia sempre più cruciale nella cura del diabete

In Italia però solo il 43% dei pazienti con diabete di tipo 1 utilizza il sensore glicemico e il 22% il microinfusore di insulina. Il professore Pitocco (Cattolica-Gemelli): "Siamo sotto la media dei Paesi europei occidentali". Ecco come è cambiato l'approccio alla malattia

Di NS
Foto di Martin Büdenbender
Foto di Martin Büdenbender

Non ci sono solo i farmaci, ma anche la tecnologia - sensori per la glicemia e microinfusori di insulina - ad aver rivoluzionato le cure di chi soffre di diabete. Anche se al momento, solo il 43% delle persone con diabete di tipo 1 utilizza il sensore e solo il 22% il microinfusore. "Siamo nettamente sotto la media dei Paesi europei occidentali – ammette il professore Dario Pitocco, diabetologo Università Cattolica – Policlinico Gemelli - dove l’utilizzo del microinfusore si attesta intorno al 45%, cioè in quasi una persona su due, mentre noi siamo ancora a una persona su 5. Nel diabete di tipo 2 l’impiego della tecnologia è ancora bassissimo, intorno all’1%".

 

Proprio Pitocco, in occasione del World Diabetes Day che si celebra il 14 novembre, traccia un quadro di come sia cambiato l’approccio alla malattia che nell’ultimo secolo è passata dall’essere una patologia orfana di terapia, fortemente invalidante e con un’aspettativa di vita decisamente ridotta, ad una condizione cronica, ben gestibile e che permette di condurre una vita piena, al pari di tutte le altre persone. "Lo sviluppo di tecnologie avanzate e di algoritmi matematici, che fanno dialogare tra loro i sensori per la rilevazione dei livelli di glicemia, con i microinfusori di insulina ha consentito a tante persone con diabete di tipo 1 (una malattia autoimmune che porta alla distruzione delle cellule beta pancreatiche), di migliorare in maniera significativa il proprio compenso metabolico e dunque la qualità di vita, proteggendoli dalla comparsa delle complicanze più temibili del diabete (retinopatia, insufficienza renale terminale, amputazioni, eventi cardio-vascolari)".

Si tratta di sistemi ibridi, come sottolinea il professore, dal momento che serve comunque l’intervento del paziente, ma grazie ad essi "si possono raggiungere obiettivi glicemici molto ambiziosi, mantenendo i valori di glicemia all’interno del range fisiologico di 70-140 mg/dl per buona parte della giornata. Oggi, grazie alla tecnologia, siamo in grado di rimpiazzare la funzionalità insulinica, in questi pazienti che non la producono più". Un progresso degli utlimi 30 anni. Non a caso, continua Pitocco, "fino alla fine degli anni ’90, l’insulina veniva fatta per 'sopravvivere', mentre oggi puntiamo a migliorare la qualità di vita dei nostri pazienti". Un obiettivo rispetto al quale la tecnologia gioca un ruolo centrale soprattutto per le persone con diabete di tipo 1. Ma più di recente, le indicazioni si sono estese anche alle persone con diabete di tipo 2 che necessitano di terapia insulinica (queste rappresentano il 30-40% di tutte le persone con diabete e in generale appartengono a fasce d’età più avanzate). "Il cardine della rivoluzione – conclude il professor Pitocco - è stato il sensore di glicemia, un concentrato di tecnologia che si indossa tutto il giorno e che permette di vedere tutto il ‘film’ della glicemia nel corso delle 24 ore e non solo la fotografia, il controllo puntiforme, dato dalla rilevazione con la puntura al dito. L’ulteriore passo è stato mettere in comunicazione il sensore con il microinfusore di insulina e questo ha abbattuto il numero degli episodi di ipoglicemia. Ora l’obiettivo è garantire un controllo glicemico ottimale H24. Nel prossimo futuro, ci aspettano sistemi sempre più smart che, aiutati dall’intelligenza artificiale, renderanno sempre più vicina al fisiologico la somministrazione di insulina".