Legge Gelli-Bianco, questa sconosciuta. Troppi ospedali ancora fuorilegge
A sette anni dal varo della normativa sulla responsabilità per gli eventi avversi nelle strutture, la maggioranza delle aziende sanitarie non ottempera agli obblighi di trasparenza. Limitati a 170milioni i risarcimenti nel 2022. Ecco i numeri della ricerca dell'Università dell'Aquila e della Fondazione Sanire

Se la bontà delle prestazioni erogate dal Ssn si misura anche dal livello di trasparenza e informazione in merito a eventi avversi, numero ed entità dei risarcimenti e coperture assicurative adottate, allora va detto che la sanità italiana sta messa malissimo e la qualità di quella che potremmo chiamare ‘democrazia della salute’ è ai minimi termini. A sette anni dal varo della legge Gelli-Bianco, la 24 del 2017, che disciplina la responsabilità sanitaria in Italia, la sicurezza delle cure e la gestione del rischio clinico, rimangono ancora largamente inevasi gli obblighi di trasparenza e rendicontazione da parte delle strutture.
Sono pari soltanto al 27,27% del totale, nel 2023, le aziende ospedaliere che, ad esempio, hanno pubblicato le relazioni annuali consuntive sugli eventi avversi occorsi al loro interno, in modesta crescita dal 22,73% del 2017. Le aziende ospedaliere universitarie sono invece passate nello stesso periodo dal 24,14% al 34,48% e gli Irccs sono addirittura scesi dal 30% al 25%. Un arretramento che diventa crollo verticale nel caso delle Asst lombarde, al cui interno si inquadrano le realtà ospedaliere della regione, passate dal 46,15% del 2017 al 19,23% del 2023. Insomma, non solo si assiste alla larga e sistematica violazione delle norme, ma addirittura si va spesso a passo di gambero rispetto a un naturale processo di implementazione progressiva degli obblighi procedurali.
I numeri, impietosi, arrivano dall’indagine condotta dall'Università dell'Aquila e dalla Fondazione Sanire su 97 aziende ospedaliere pubbliche italiane nel periodo 2017-2023, un campione rappresentativo delle quasi mille strutture censite in Italia. Manca nello studio il numero delle denunce presentate, probabilmente perché non afferisce agli obblighi della legge Gelli-Bianco, tuttavia la ricerca, presentata durante un evento celebrato negli splendidi ambienti del Museo del Ninfeo della Fondazione Enpam, riporta con accuratezza il volume dei sinistri liquidati: nel 2018 si è assistito a 536 risarcimenti, saliti a 1014 nel 2019, nel 2020 845, nel 2021 948 e nel 2022 893, per una media annuale nel quinquennio di 847 eventi avversi coperti da azione risarcitoria. In particolare nel 2019 si è verificato un balzo a carico delle aziende ospedaliere universitarie, le Asst, e gli Irccs, rispettivamente pari a 570, 106 e 118. Diversamente, le aziende ospedaliere hanno registrato il maggior numero di sinistri liquidati (240) nel 2022. In questo caso, la rilevazione arriva a due anni fa e prende un po’ le distanze dai numeri dell’anno scorso perché, precisano i ricercatori, i dati 2023 potrebbero essere incompleti, visto che la rilevazione è stata effettuata nel primo trimestre del 2024.
La scarsa trasparenza informativa porta comunque a un ovvio ridimensionamento del volume delle cifre risarcite. Si è partiti dagli 80 milioni euro del 2018, i numeri sono praticamente raddoppiati l’anno dopo, ma poi il periodo pandemico ha condotto a un decremento fino a poco meno di 140 milioni nel 2021, mentre nel 2022 si è risaliti intorno ai 170 milioni di euro, per una media annuale nel quinquennio 2018-2022 di circa 137 milioni erogati. L’applicazione della Gelli-Bianco è lacunosa pure sul fronte della pubblicazione dei contratti e delle coperture assicurative. Non ci sono dettagli sui costi delle polizze, ma secondo lo studio quasi il 48% delle strutture non ha adempiuto all’obbligo di divulgazione. Mentre tra chi ha reso disponibili le informazioni, il 44,79% delle strutture ricorre ad assicurazioni e il 7,29% agisce in regime di autoassicurazione. Nel caso specifico delle aziende ospedaliere, il dato più desolante, soltanto il 27,27% ha condiviso puntualmente i contratti di polizza.
Malgrado una certa narrazione di segno contrario, le cifre in ballo mostrano che non ci sono alibi: l’incidenza di questi costi non influisce sulle sorti dei bilanci e sulla stabilità finanziaria delle aziende sanitarie né sulla loro capacità di garantire i Lea. Si parla infatti di percentuali che variano dall’1,19% per le aziende ospedaliere allo 0,52% per le Aziende socio-sanitarie territoriali, passando per lo 0,75% a carico di Aou e Irccs. Secondo i ricercatori esistono “alcuni casi eccezionali che raggiungono il 2,77% e altri valori pressoché trascurabili, come lo 0,01%, il che riflette probabilmente differenze organizzative, assistenziali, gestionali e territoriali”. Ad ogni modo, non si tratta di cifre che cambiano i destini di una realtà sanitaria.
Per i ricercatori dell’ateneo aquilano e della Fondazione Sanire, non soltanto la legge è palesemente elusa, ma anche quando viene applicata ciò non accade con criteri chiari e uniformi. Dunque servirebbero delle “linee guida comuni per orientare tutte le strutture” in ossequio ai principi di trasparenza, informazione e accountability. E inoltre bisognerebbe “introdurre un efficace sistema di controllo finalizzato ad assicurare l’adempimento degli obblighi” e “una corretta informazione e comunicazione nei confronti dei pazienti”, tema su cui si gioca l’efficienza, l’affidabilità e la reputazione delle differenti realtà sanitarie.
In questa partita riveste certamente un ruolo cruciale la digitalizzazione del sistema salute e l’avvento dell’intelligenza artificiale. Piattaforme telematiche standardizzate, secondo l’indagine, faciliterebbero la raccolta e la pubblicazione dei dati, la loro comparabilità, l’automazione del monitoraggio degli adempimenti, una migliore accessibilità. E nondimeno gli algoritmi agevolerebbero l’identificazione di “pattern ricorrenti negli eventi avversi”, in modo da “prevedere potenziali rischi clinici, suggerire misure preventive mirate, ottimizzare le procedure di risk management”.
“Risarcire i danni cagionati da eventi avversi evitabili rappresenta un atto di giustizia sostanziale e di attuazione del diritto alla salute, in linea con il principio di solidarietà stabilito dalla nostra Costituzione”, ha commentato Gabriele Chiarini, avvocato e presidente della Fondazione Sanire. Chiarini ha poi fatto riferimento al fenomeno della ‘medicina difensiva’ che pesa per circa 10-12 miliardi, un decimo della spesa sanitaria pubblica e ha sottolineato il nodo della relazione terapeutica tra medico e paziente, evidenziando come questa scarsa trasparenza pesi sullo strumento del consenso informato. Franco Marozzi, medico legale e presidente del Comitato scientifico della stessa fondazione, ha richiamato il nodo della pressione che la narrazione sulla responsabilità sanitaria esercita a carico della professione medica, “contribuendo ad aumentare”, ancora una volta, “quella ‘medicina difensiva’ che è stimata dai più come estremamente costosa, ma sulla quale risultano mancanti delle indagini di carattere scientifico di caratura adeguata”.
“Gli obblighi di pubblicità che oggi gravano sulle strutture e sui professionisti sanitari non rappresentano un mero fardello burocratico, ma costituiscono gli strumenti necessari per assicurare concretezza ed effettività al diritto alla trasparenza, assurto oggi a componente del diritto a cure sicure e più in generale del diritto alla tutela della salute”, ha chiosato Vincenzo Antonelli, docente associato di Diritto amministrativo all’Aquila e coordinatore del Comitato scientifico di Fondazione Sanire, secondo cui una comunicazione chiara e completa è un criterio chiave non soltanto in ragione della legge 24, ma anche rispetto al Codice della trasparenza del 2013, tenendo conto del diritto dei pazienti di partecipare attivamente al proprio percorso di cura.
Il presidente Fnomceo, Filippo Anelli, dal canto suo ha evidenziato come la comunicazione sia parte importante del tempo di cura: “Il nostro problema è che la professione medica viene considerata un’impresa commerciale, anche dalla giurisprudenza Ue. Ma il medico deve produrre salute e non un profitto, altrimenti pure il consenso informato diventa un mero atto burocratico”. Dunque “bisogna recuperare il valore della professione medica che si fonda sul rapporto con il paziente. E la trasparenza è essenziale per consentirci un audit del nostro operato”. Infine, Anelli ha insistito sulla depenalizzazione dell’atto medico, che è l’altro versante della questione, dato che la quasi totalità delle denunce in sede penale si risolve in un’archiviazione.
Cruciali infine gli interventi dei magistrati che osservano da un punto di vista privilegiato le dinamiche dei contenziosi legati alla responsabilità sanitaria. Stefania Tassone, consigliere della Terza Sezione Civile in Cassazione, ha puntato sull’obbligo che le strutture sanitarie hanno di dare sostanza non formale al consenso informato, mentre Alberto Michele Cisterna, presidente della 13esima Sezione Civile del Tribunale di Roma, ha rilevato che “si risarcisce troppo poco” e i contenziosi incidono sulle strutture sanitarie “a macchia di leopardo”. Tuttavia “i dati restano nelle nebbie perché potrebbero rappresentare uno stigma per questo o quel reparto, questa o quella struttura. Invece – ha concluso il magistrato – non si deve sapere, le corporazioni non hanno interesse che si sappia, mentre la trasparenza porterebbe a una selezione di strutture e professionisti che toccherebbe interessi enormi. Ma intanto il cittadino rimane ignaro”. Per chiudere, Lucio Di Mauro, medico legale e segretario Simla (Società italiana di medicina legale e delle assicurazioni), ha proposto di creare un fondo di riserva sui sinistri finanziato con una piccola quota dei ticket sulle prestazioni.
L’indagine
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