12 Maggio 2025

Giornata dell'infermiere, "In Italia bilancio amaro, tra carenze e riforme che arrancano"

A Nursind Sanità, Rosaria Alvaro, ordinario in Scienze infermieristiche a Tor Vergata, mette in luce i nodi cruciali che la professione si trova ad affrontare: "Servono concrete prospettive di carriera in ambito clinico e organizzativo"

Di Elisabetta Gramolini
Giornata dell'infermiere, "In Italia bilancio amaro, tra carenze e riforme che arrancano"

Gli infermieri rappresentano una componente cruciale del Servizio sanitario nazionale e, al pari di altre professioni, devono affrontare diverse sfide, alcune molto significative. In occasione della Giornata internazionale dell'infermiere che si celebra oggi, 12 maggio, tracciare un bilancio delle iniziative avviate e ipotizzare interventi efficaci per rafforzare gli organici e rendere la professione più attrattiva si conferma un compito tutt’altro che semplice. A Nursind Sanità, Rosaria Alvaro, professore ordinario in Scienze infermieristiche dell’Università Tor Vergata di Roma e presidente della Società italiana di scienze infermieristiche, fa una disamina della situazione infermieristica italiana.

Professoressa, la figura dell’infermiere prescrittore non è mai decollata, perché?
Per ragioni diverse. Una delle principali difficoltà è comprendere che non si parla di prescrizione farmacologica: l'infermiere non ha mai avuto l’intenzione di inserirsi in ambiti di diagnosi, prognosi, o prescrizione di terapie, perché queste non rientrano nelle sue competenze. L'infermiere si occupa dei bisogni assistenziali e, oggi, il nostro tema riguarda le prescrizioni finalizzate appunto a migliorare il percorso assistenziale del paziente. Faccio l’esempio della gestione della stomia: attualmente, l'infermiere ha bisogno della firma del medico anche solo per modificare i presidi ritenuti inadeguati, nonostante ciò allunghi e complichi l'intervento, che inizia quando il paziente è stato clinicamente valutato dal medico. Aggiungo che la prescrizione di ausili e presidi sanitari è già una prassi consolidata in molti Paesi europei: i nostri infermieri che si trasferiscono in Inghilterra seguono corsi specifici proprio sulla prescrizione. Certamente, introdurre la figura di infermiere prescrittore significa anche definire che tipo di formazione debba essere prevista e come certificare le competenze acquisite in modo chiaro e riconoscibile.

La figura dell’assistente infermiere. In questo caso è possibile fare un bilancio?
No. È impossibile. Questa figura ancora non è stata inserita nel sistema sanitario. Come Società italiana di scienze infermieristiche ci siamo espressi inviando a tutte le istituzioni competenti la nostra posizione. Non vi è alcuna preclusione al suo inserimento, a condizione che questa rientri in un piano più ampio e strutturato di riorganizzazione del sistema assistenziale. 

In che modo andrebbe collocata?
Riteniamo che questa nuova figura debba essere collocata all'interno di un quadro di sviluppo del sistema sanitario e della professione infermieristica nel suo complesso, prevedendo da subito la valorizzazione dell’infermiere anche mediante l'attivazione di percorsi di specializzazione clinica da realizzarsi attraverso corsi di laurea magistrale a indirizzo specialistico. Riteniamo, inoltre, che la responsabilità complessiva del processo assistenziale sia integralmente affidata all’infermiere che deve garantire sicurezza e qualità in un’ottica di preservazione della centralità dell’assistito/a e della sua famiglia rispetto alla totalità dei servizi erogati. Sosteniamo, infine, che la formazione avvenga all'interno della ‘filiera’ formativa infermieristica e quindi in ambito universitario e non come una riqualificazione o specializzazione dell'attuale Operatore socio-sanitario (OSS).

Avete espresso preoccupazione anche per la denominazione di 'assistente infermiere'.
Sì. Nel caso in cui l’assetto formativo non rientrasse nel quadro complessivo sopra espresso, poiché potrebbe generare confusione rispetto al ruolo e alle competenze proprie dell'infermiere laureato. L'utilizzo del termine 'infermiere' all'interno della denominazione potrebbe determinare, anche e soprattutto nel cittadino, una percezione errata e sovrapposta dei ruoli. Il rischio sarebbe quello di creare potenziali ambiguità sia tra i pazienti e sia all'interno dell'équipe sanitaria, ma anche nelle future generazioni nei momenti di valutazione e scelta dei percorsi di studio da intraprendere.

Altra riforma attesa è quella che riguarda il riordino delle professioni sanitarie. Ancora però non ce n’è traccia, sebbene il ministro della Salute Schillaci, il mese scorso, avesse detto che era pronta per approdare in Consiglio die ministri. Cosa si aspetta da questo provvedimento?
Dal riordino mi aspetto che vengano rispettati i percorsi già definiti e che si stanno discutendo ormai da molto tempo. Parlo delle lauree magistrali a caratterizzazione clinica che premetterebbe agli infermieri di avere uno sviluppo di carriera anche al di fuori dell’ambito gestionale, favorendo una risposta più efficace ai bisogni sanitari e assistenziali delle persone. Tale evoluzione, però, non può prescindere dal riconoscimento formale di ruoli, funzioni e attività di questi professionisti nei contratti collettivi di lavoro, così come da una chiara definizione della loro collocazione nell’ambito dei servizi sanitari e territoriali. Chi si occupa di formazione ha inoltre la responsabilità di garantire che i titoli siano immediatamente spendibili sul mercato del lavoro e quindi coerenti con le richieste del servizio sanitario.

L'accesso libero a Medicina condiziona in maniera positiva o negativa le iscrizioni ai corsi di infermieristica?
La modalità di accesso ai corsi di laurea ancora non è del tutto chiara. Anche i docenti e i rettori hanno espresso perplessità. Temono gli effetti sugli atenei, che non sarebbero pronti ad accogliere un boom di iscrizioni senza un adeguato potenziamento delle infrastrutture e del personale. Le risorse attuali (aule, laboratori, tutor) sono già al limite e un semestre aperto rischierebbe di danneggiare la qualità della didattica. Inoltre, così come prevista, questa modalità impatterà in maniera inevitabile su tutti i corsi di laurea, in particolare su quelli di area sanitaria, rendendo questa scelta di ripiego e non consentendo probabilmente un avvio regolare del percorso. Ad oggi le modalità attuative definitive non sono ancora state rese note e restano molti interrogativi aperti. La riforma è un tema che abbiamo presente. Merita un intervento dedicato che mi riservo, se lo riterrete opportuno, di fare in un momento successivo.

Nel frattempo, la Federazione nazionale degli Ordini dei medici (Fnomceo) afferma che nel 2030 è attesa "una nuova pletora medica". Il problema, quindi, non è la mancanza di medici.
Esatto. E io vorrei segnalare che già da qualche anno stiamo laureando più medici che infermieri. L’Italia si colloca quasi in fondo alla classifica europea, con soli 6,2 infermieri ogni 1.000 abitanti, a fronte di una media europea di 9. Alla luce di questi dati, sarebbe auspicabile aprire una riflessione ampia e strutturata, per individuare le azioni più opportune da intraprendere. È urgente affrontare il tema della carenza infermieristica, anche per contrastare la crescente emigrazione dei nostri professionisti verso l’estero.

Una sua previsione, infine, sul futuro della professione infermieristica.
È molto difficile fare previsioni. Tutto dipende dalle scelte politiche per rendere la professione più attrattiva e definire i reali percorsi di sviluppo professionale. I dati attuali mostrano un evidente squilibrio nella domanda di accesso ai corsi di laurea in Infermieristica: nelle regioni del Nord molti posti restano vacanti, mentre al Sud si registrano anche cinque domande per ogni posto disponibile. Bisognerebbe quindi valutare la possibilità di interventi che facilitino il trasferimento e la frequenza in regioni diverse da quelle di residenza con misure di sostegno alle famiglie e agli studenti fuori sede. Mi auguro che in futuro gli infermieri possano contare su concrete prospettive di carriera, sia in ambito clinico che organizzativo, con la possibilità di esercitare la professione anche al di fuori dei vincoli di esclusività.

 

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