Infermieri: l'allarme arriva dai territori. E cresce la voglia di Sud
Difficile reclutarli, soprattutto al Centro Nord. Mentre aumentano i trasferimenti al Meridione e si allargano i numeri di quelli provenienti dall'estero. Ma non può essere questa la soluzione

Sono sempre meno, sempre più sfiduciati, scappano dal Ssn verso il settore privato o addirittura verso altri mestieri. E adesso fuggono anche dal Settentrione al Meridione alla ricerca di condizioni di vita più dignitose. Lo stato dell’arte della professione infermieristica in Italia sembra peggiorare di giorno in giorno. E tanti piccoli segnali che arrivano dai territori, forse, lo testimoniano più dei grandi numeri o delle vicende sotto i riflettori come il (mancato) rinnovo del contratto di comparto.
L’Asst di Pavia, ad esempio, non è riuscita a reclutare, tramite l’ultimo concorso, nemmeno i quattro infermieri cui puntava. Al primo bando, da poco scaduto, si sono presentati soltanto in due per le necessità della Medicina interna dell’ospedale Broni Stradella. Il compenso orario di 40 euro lordi onnicomprensivi non è bastato ad attirare un numero sufficiente di candidati. Ora l’azienda sanitaria pavese ci riprova, con un bando per nove posti che scade a fine giugno. Da Nord a Sud, l’Asl di Salerno ha da poco indetto un concorso per, addirittura, 200 infermieri. E ben 850 aspiranti hanno superato la seconda fase. Adesso la terza e ultima prova, orale, si terrà da qui al 10 giugno.
Possono sembrare casi isolati e non paragonabili, ma la tendenza è sempre più evidente. Anche perché la differenza di stipendi tra Settentrione e Mezzogiorno non è tale da coprire il gap in termini di affitti e costo della vita generale. Secondo una recente indagine di Fondazione Etica, l’infermiere di Bolzano supera i 53mila euro l’anno, ma subito dietro ci sono due Asl di Napoli con circa 10mila e 11mila euro in meno. La media nazionale viaggia ad appena 35mila euro e, a sorpresa, molte aziende sanitarie del Centro Nord sono in coda anche rispetto ai territori meridionali.
Risultato? Aumentano i trasferimenti di professionisti verso Sud, con motivi familiari e di qualità della vita che si aggiungono a quelli economici. Così due mesi fa il Nursind di Bologna denunciava: “Ai concorsi si presenta meno di un decimo dei candidati rispetto a 10 anni fa. Chi lavora torna al Sud per la casa o va in Inghilterra per lo stipendio”. Per dare un’idea dei numeri: nel 2016 si iscrissero in 14mila, oggi sono poco più di mille e ne entreranno 600 in graduatoria.
Infine, il paradosso: gli infermieri italiani emigrano e quelli stranieri arrivano. Proprio oggi Varese ha salutato con gratitudine i cinque operatori peruviani, un uomo e quattro donne, che hanno preso servizio all’ospedale della città. Adesso sono 24 i professionisti sudamericani in forze presso l’Asst Sette Laghi. Tutti giovani e felici, si dicono, di operare in una realtà come quella italiana, con un sistema sanitario che è (ancora?) considerato un’eccellenza e con stipendi per loro favolosi. Complessivamente, stando alla Fnopi, sono circa 38mila gli infermieri stranieri in Italia. I rumeni, 12mila, guidano la classifica per nazionalità, mentre i “famosi” indiani superano quota 1800. Chiaramente non può essere questa la soluzione per la carenza di personale nel Ssn. Anche perché pure gli stranieri potrebbero un giorno stancarsi, mangiare la foglia e decidere di spostarsi ancora verso Germania, Svizzera o Inghilterra.
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