Un medico su tre ha subito una denuncia ma solo il 3% viene condannato
Si tratta di esposti penali o civili, come rivela la survey Anaao-Assomed che chiede di introdurre in Italia "il modello francese sulla responsabilità professionale". I dettagli

Un medico su tre ha ricevuto una denuncia. Di tipo penale nel 43,6% dei casi, civile nel 30,8% e addirittura di entrambe le tipologie nel 25,6%. Ed è la chirurgia ad essere nel mirino della magistratura con oltre l’82% dei casi segnalati. I più colpiti sono gli uomini over 55 anni che lavorano in ospedali con meno di 500 posti letto. Sono alcuni dei dati della survey condotta dal centro studi dell’Anaao-Assomed secondo cui "si vive un clima di caccia alle streghe al punto che almeno un camice bianco su tre pensa di licenziarsi e il 47% rinuncia a ruoli di maggiore responsabilità".
Rispetto ai procedimenti giudiziari conclusi, solo il 3% circa, inoltre, si è risolto con una condanna. Ma a che prezzo? L’imbocco del tunnel di un processo civile e penale costituisce una penosa esperienza professionale e umana nella quale si passa, grazie anche a una disinvolta pressione mediatica, da indagato a imputato a condannato, prima ancora che il processo sia iniziato. La maggioranza dei casi si conclude con l’assoluzione. "Oggi i profili di responsabilità professionale si muovono lungo il sentiero angusto delineato dell’intersecarsi di 4 codici (deontologico, disciplinare, civile e penale), senza che sia chiaro il primato di ciascuno e le relazioni tra di loro".
LA PROPOSTA DEL SINDACATO
"Introduciamo anche in Italia il modello francese cosiddetto 'no fault' che permette ai pazienti di ottenere un risarcimento per danni derivanti da trattamenti medici senza dover dimostrare la loro colpa e ai professionisti di lavorare con maggiore serenità", è stata la proposta lanciata dal sindacato nel corso di un convegno a Roma sui confini della responsabilità professionale in sanità.
“Molti Paesi in Europa – ha sottolineato il segretario nazionale Anaao-Assomed Pierino Di Silverio - hanno sostituito il concetto di risarcimento con il concetto di indennizzo, che non presuppone la ricerca di un colpevole e salvaguarda i diritti dei cittadini. Ed è proprio questo il modello che vorremmo mutuare al quale riconosciamo alcuni punti di forza: riduzione del carico psicologico sui medici legati alla paura di essere processati per errori o imprevisti; incentivi alla collaborazione e alla comunicazione tra medici e pazienti, incoraggiando una maggiore trasparenza e fiducia reciproca; riduzione dei costi legali e dei processi liberando risorse per la cura; maggiore attenzione alla prevenzione degli errori medici, attraverso la formazione e l'adozione di protocolli più efficaci; tutela della reputazione professionale evitando che singoli errori possano compromettere la loro carriera". "In base a questo modello – ha spiegato Di Silverio - il paziente può scegliere di ottenere un indennizzo economico rinunciando a intraprendere un’azione legale: in questo modo ha la certezza di venire risarcito (98 per cento dei casi approvati da una commissione) e al tempo stesso contribuisce a snellire tempi di attesa e file nei tribunali".
"Nel frattempo invece nel nostro Paese – ha concluso - la riforma della responsabilità professionale viaggia su un binario morto. Dopo il flop della Commissione D’Ippolito, orfana di medici, che ha portato a un documento sonoramente bocciato dalla categoria, non c’è più traccia di un intervento che possa contribuire a distendere il clima che si respira nelle corsie. Non certo per rendere impunibili i professionisti, ma per creare un sistema di responsabilità professionale più equo ed efficiente, che garantisca la tutela dei pazienti e la serenità dei medici, senza escludere la possibilità di gestire correttamente eventuali errori".
LE SPECIALIZZAZIONI PIÙ COLPITE
Ma nel dettaglio cosa è emerso dalla survey? L’indagine è stata condotta su un campione rappresentativo di camici bianchi equamente distribuito tra uomini e donne in età compresa tra i 25 e 65 anni con una anzianità di servizio che va dall’ingresso alla pensione.
Il 32,8% dei rispondenti ha dichiarato di aver ricevuto almeno una denuncia (civile e/o penale) nel corso della propria attività professionale. Denunce di tipo penale nel 43,6% dei casi, civile nel 30,8% e addirittura di entrambe le tipologie nel 25,6%. Il 22,3% riporta di avere ricevuto almeno una denuncia penale nel corso della propria carriera, il 35,6 % di loro più di una denuncia.
La distribuzione delle denunce per specializzazione vede ai primi posti Ginecologia: 70%, Cardiochirurgia: 70%, Chirurgia generale 66,2%. A seguire Ortopedia: 65,2%, Pronto soccorso (PS): 53,3%, Cardiologia: 44,9%, Medicina interna: 42%, Radiologia: 38,6%, Anestesia: 37,3%, Direzione medica di presidio ospedaliero 38,5%, Psichiatria: 16,3%.
Anche la Distribuzione per macro-area disciplinare vede al primo posto la Area chirurgica: 239 su 393 (60,8%), seguita da Area medica: 296 su 929 (31,9%) e Area dei servizi: 89 su 584 (15,2%).
PIÙ DENUNCE AL SUD E NELLE ISOLE
La distribuzione geografica segna una prevalenza al Sud e Isole con una percentuale del 39,8%. Al secondo posto il Centro Italia (38,2%), e al terzo posto Nord (27,2%).
Se guardiamo, poi, alla loro distribuzione in base alla dimensione della struttura ospedaliera, il primato spetta agli Ospedali con meno di 500 posti letto (37,6%), seguiti da quelli dotati di un numero di posti letto compresi tra a 500 e 1000 32,2%. Quelli con oltre 1000 posti letto registrano il tasso più basso (28,4%).
Se guardiamo al numero di Denunce in base a sesso, anzianità di servizio e area professionale la situazione è la seguente:
- Donne in area chirurgica con > 20 anni di anzianità: 71,1%
- Uomini in area chirurgica con > 20 anni di anzianità: 86,2%
- Totale (M+F) area chirurgica > 20 anni di anzianità: 82,3%
CHIRURGIA AREA AD ALTO RISCHIO GIUDIZIARIO
È nell’ambito chirurgico che si registra il tasso più elevato di denunce. In alcune specialità come ginecologia, ortopedia e chirurgia generale, la probabilità di essere denunciati supera il 65%, raggiungendo in ginecologia e cardiochirurgia addirittura il 70%. In altre parole, 7 professionisti su 10 che operano in queste discipline hanno avuto almeno una volta a che fare con un procedimento legale. Un dato che evidenzia quanto la chirurgia, per la sua natura invasiva e ad alta complessità, sia particolarmente esposta al contenzioso.
DIFFERENZE TRA AREE DISCIPLINARI E GEOGRAFICHE
Anche considerando le grandi aree di specializzazione, la chirurgia si conferma la più colpita, con un tasso di denuncia doppio rispetto alla area internistica (60,8% vs 31,9%). I servizi (radiologia, anestesia, psichiatria, ecc.) si mantengono invece su valori decisamente più contenuti (15,2%).
Dal punto di vista geografico, emerge un gradiente crescente da nord a sud: si passa dal 27,2% del nord al 39,8% del sud e isole, con un picco del 65,9% nella sola area chirurgica meridionale. È difficile non interrogarsi sulle cause di questa disparità: carenze strutturali, sovraccarico dei servizi, contesto socio-economico e fiducia nei confronti del sistema sanitario potrebbero tutti giocare un ruolo.
ANZIANITÀ DI SERVIZIO E GENERE
L’esperienza non protegge. Anzi, tra i professionisti con oltre 20 anni di carriera, i tassi di denuncia crescono sensibilmente, soprattutto in ambito chirurgico. Il dato più impressionante riguarda i chirurghi uomini con lunga anzianità: l’86,2% ha subito almeno una denuncia. Se si considerano uomini e donne insieme, la percentuale scende poco: oltre 8 su 10 (82,3%).
Questo significa che più di 6 chirurghi uomini su 7, e 5 chirurghi di qualunque genere su 6, con almeno vent’anni di attività, sono stati oggetto di un procedimento giudiziario. Si tratta di numeri che non possono essere considerati fisiologici, ma che segnalano una situazione strutturalmente critica.
STRUTTURE PICCOLO RISCHIO MAGGIORE
Anche la dimensione dell’ospedale sembra influire sul rischio di denuncia: i professionisti che lavorano in strutture con meno di 500 posti letto riportano una frequenza di denunce significativamente più alta (37,6%) rispetto a chi opera in ospedali più grandi (28,4% oltre i 1000 posti letto). Probabilmente, nei contesti più piccoli, la minore disponibilità di risorse, la carenza di personale e l’assenza di équipe strutturate aumentano il rischio di errore e la vulnerabilità legale.
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