Liste d'attesa, Gimbe: "Decreto nel pantano, mancano le norme attuative"
La fondazione attacca: "Misure bloccate dopo i ritardi sulla piattaforma e lo scontro sui poteri sostitutivi". Intanto quasi 6 milioni di italiani rinunciano alle cure. Ma domani atteso l'ok delle Regioni al testo sul commissariamento

La montagna ha partorito il topolino secondo la Fondazione Gimbe e il decreto liste d’attesa, a un anno di distanza dal suo varo in pompa magna, è nel pantano. Manca ancora la metà dei sei decreti attuativi e soprattutto “l’attuazione delle misure è stata prima bloccata dalla lunga gestazione del decreto attuativo sulla piattaforma nazionale, poi tenuta in ostaggio dal conflitto istituzionale tra governo e Regioni sul decreto relativo ai poteri sostitutivi”, spiega l’ente guidato dal presidente Nino Cartabellotta.
Nel frattempo, secondo Gimbe, “la realtà restituisce numeri allarmanti: secondo l’Istat, nel 2024 una persona su dieci ha rinunciato ad almeno una prestazione sanitaria, il 6,8% a causa delle lunghe liste di attesa e il 5,3% per ragioni economiche. E la motivazione relativa alle liste di attesa è cresciuta del 51% rispetto al 2023”. “A un anno dalla pubblicazione del dl Liste di attesa”, prosegue Cartabellotta, i cittadini sono “sempre più intrappolati nella rete delle liste di attesa. Tracciando un confine netto tra realtà e propaganda”.
Il Gimbe cita il Dipartimento per il Programma di governo e riporta che al 10 giugno dei sei decreti attuativi previsti dal provvedimento solo tre sono stati pubblicati in Gazzetta Ufficiale, lo scorso aprile. Dei rimanenti, uno è scaduto da oltre nove mesi e due non hanno una scadenza definita. “Come già evidenziato in audizione dalla Fondazione Gimbe – rincara Cartabellotta – il carattere di urgenza del provvedimento si è rivelato incompatibile con un numero così elevato di decreti attuativi, alcuni tecnicamente complessi, altri politicamente scottanti”.
In particolare, il decreto attuativo non pubblicato e già scaduto il 31 agosto scorso riguarda la vexata quaestio delle modalità e le procedure per l’esercizio dei poteri sostitutivi da parte dello Stato tramite l’Organismo di verifica e controllo sull’assistenza sanitaria. Mentre le norme attuative senza scadenze definite, ma ancora mancanti, riguardano le linee di indirizzo, a livello nazionale, contenenti le indicazioni tecniche per gestire, da parte del Cup, un nuovo sistema di disdetta delle prenotazioni e ottimizzazione delle agende di prenotazioni e l’adozione di una metodologia per la definizione del fabbisogno di personale degli enti del Ssn.
Intanto, l’anno scorso il fenomeno della rinuncia alle cure ha registrato un’allarmante impennata: secondo le elaborazioni Gimbe su dati Istat, il 9,9% della popolazione – circa 5,8 milioni di persone – ha soprasseduto su almeno una prestazione sanitaria, rispetto al 7,6% del 2023 (4,5 milioni di persone) e al 7% del 2022 (4,1 milioni di persone). Il dato è sostanzialmente omogeneo in tutto il Paese, senza differenze significative: 9,2% al Nord, 10,7% al Centro e 10,3% al Sud. “Negli ultimi due anni – commenta Cartabellotta – il fenomeno della rinuncia alle prestazioni non solo è cresciuto, ma coinvolge l’intero Paese, incluse le fasce di popolazione che prima della pandemia si trovavano in una posizione di ‘vantaggio relativo’, come i residenti al Nord e le persone con un livello di istruzione più elevato”.
Il netto aumento delle rinunce a visite ed esami rilevato nel 2024 è dovuto soprattutto ai lunghi tempi d’attesa: la quota di popolazione che dichiara di aver fatto un passo indietro per questo motivo è passata infatti dal 4,2% del 2022 (2,5 milioni di persone) al 4,5% del 2023 (2,7 milioni di persone), fino a schizzare al 6,8 % nel 2024 (4 milioni di persone). Anche le difficoltà economiche continuano a pesare: la percentuale di chi rinuncia per motivi finanziari è aumentata dal 3,2% del 2022 (1,9 milioni di persone) al 4,2% del 2023 (2,5 milioni di persone), fino al 5,3% del 2024 (3,1 milioni di persone).
“Il vero problema – osserva ancora Cartabellotta – non è più, o almeno non è soltanto, il portafoglio dei cittadini, ma la capacità del Ssn di garantire le prestazioni in tempi compatibili con i bisogni di salute”. Va inoltre ricordato che il questionario Istat consente risposte multiple: il cittadino può indicare contemporaneamente sia i motivi economici sia i lunghi tempi d’attesa tra le cause della rinuncia. “È proprio l’intreccio di questi due fattori — chiosa il presidente Gimbe — a rendere il fenomeno ancora più allarmante: quando i tempi del pubblico diventano inaccettabili, molte persone sono costrette a rivolgersi al privato; ma se i costi superano la capacità di spesa, la prestazione diventa un lusso. E alla fine, per una persona su 10, la scelta obbligata è rinunciare”.
Lo scontro al calor bianco sui poteri sostitutivi tra governo e Regioni, peraltro, torna domani d’attualità. È convocata infatti una seduta straordinaria della Conferenza delle autonomie che discuterà dello schema di dpcm contenente appunto le modalità e le procedure per il commissariamento dello Stato centrale a scapito dei governatori sulle liste d’attesa. A meno di colpi di scena, comunque, le Regioni dovrebbero approvare il testo che nell’ultima versione ammorbidisce i termini che fanno scattare i poteri sostitutivi e concede più tempo agli enti decentrati per mettersi in regola sui Cup, sulle agende uniche di prenotazione e sulla nomina del Responsabile unico regionale dell’assistenza sanitaria.
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