Liste d'attesa, decreto senza pace: stop dalla Consulta
Secondo i giudici costituzionali spetta alle Regioni decidere i piani di fabbisogno del personale e non al governo centrale. I dettagli

Non c’è pace per il decreto liste d’attesa, cuore dell’azione del governo Meloni in ambito sanitario per abbattere i tempi di visite e prestazioni. Dopo il tira e molla con le Regioni e lo scontro sui poteri sostitutivi solo da poco sanato con il ministero della Salute, arriva un altro duro colpo al provvedimento. Ad infliggerlo stavolta è la Consulta che ha individuato profili di incostituzionalità nel testo.
Con la sentenza numero 114, depositata oggi, la Corte ha dichiarato infatti l’illegittimità costituzionale dell’articolo 5, comma 2, secondo periodo, del decreto-legge numero 73 del 2024 (il decreto liste d’attese, appunto) che attribuisce ai ministri della Salute e dell’Economia e delle Finanze il potere di approvare i piani triennali di fabbisogno del personale sanitario regionale. La disposizione, che attribuisce a livello statale il potere di approvare i piani, invade la potestà legislativa concorrente di tutela della salute e quella residuale regionale in materia di organizzazione perché i piani, come osservato dalla Corte, "servono a pianificare e organizzare le risorse umane delle aziende e degli enti del Servizio sanitario nazionale per garantire la piena funzionalità dei servizi, compatibilmente con le disponibilità finanziarie e con i vincoli di finanza pubblica".
La Corte ha altresì dichiarato incostituzionale l’articolo 5, comma 1, secondo periodo, del decreto-legge laddove sottopone a una verifica di congruità del ministro della Salute e del ministro dell’Economia e delle Finanze le misure compensative che le Regioni devono adottare per poter incrementare la spesa per il personale sanitario. Tale verifica, secondo la Corte, "comporta un controllo su decisioni che riguardano profili organizzativi di competenza delle Regioni perché la riallocazione delle risorse del bilancio regionale è un’operazione che comporta una ponderata valutazione di tutte le possibili opzioni che le Regioni possono scegliere per realizzare al meglio le proprie finalità istituzionali".
È, invece, conforme a Costituzione l’articolo 5, comma 2, primo periodo, del decreto-legge numero 73 del 2024, come convertito, che prevede l’adozione di una metodologia per la definizione di criteri generali destinati a determinare il fabbisogno di personale sanitario. La disposizione, afferma la Corte, non è, di per sé, in grado né di aggravare né di colmare i divari socio-economici esistenti tra le Regioni italiane e di violare il diritto alla salute, né tantomeno di invadere la competenza legislativa delle Regioni e la loro autonomia perché la metodologia è costruita su dati forniti dalle Regioni stesse".
Il pronunciamento della Consulta ha fatto subito drizzare le antenne all’opposizione. La senatrice del Pd, Ylenia Zambito, ha colto la palla al balzo per ricordare che "la sentenza della Corte costituzionale conferma quanto avevamo già denunciato in Aula durante la discussione sul cosiddetto decreto liste d’attesa: l’impianto normativo presentava evidenti profili di incostituzionalità. Il governo ha tentato di imporre un controllo centralizzato sui piani di fabbisogno del personale sanitario regionale, violando l’autonomia delle Regioni e le competenze garantite dalla Costituzione".
"Anziché affrontare in modo serio le carenze del Servizio sanitario nazionale – conclude Zambito – il governo ha scelto la via più sbagliata: quella dell’accentramento per scaricare le responsabilità dei fallimenti sulle Regioni. È un approccio miope, che oltre a essere inefficace, si è rivelato anche incostituzionale. Ora si riparta dal rispetto delle autonomie territoriali e da un vero piano di rafforzamento del personale sanitario".
Sempre più vicini ai nostri lettori.
Segui Nursind Sanità anche su Telegram