I buchi del Ssn: oltre ai soldi per Gimbe mancano soprattutto gli infermieri
L'ottavo Rapporto della Fondazione tira le somme sulle carenze della sanità italiana. I professionisti della salute sono appena 6,5 ogni mille abitanti contro una media Ocse di 9,5. Il definanziamento sul Pil pesa per 13 miliardi nel triennio 2023-2025. Ecco tutti i numeri

I numeri, come i fatti, hanno la testa dura e spesso smentiscono le percezioni del senso comune. La carenza di personale nella sanità italiana non riguarda tanto i medici, ma fa rima soprattutto con una parola: infermieri. Numeri alla mano, infatti, i camici bianchi sono oltre 315mila, ossia 5,4 ogni mille abitanti: siamo secondi solo all’Austria e nettamente sopra la media Ocse (3,9) ed europea (4,1). Questo dato include gli specializzandi, proprio come prevede la stessa Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico. Di contro, la penuria di professionisti investe l’assistenza territoriale: al primo gennaio 2024 si stima infatti un buco di oltre 5.500 medici di base e 502 pediatri di libera scelta.
L’EMORRAGIA DI INFERMIERI
A fare il punto è l’ottavo Rapporto sul Servizio sanitario nazionale della Fondazione Gimbe, secondo cui gli infermieri sono soltanto 6,5 ogni mille abitanti rispetto alla media Ocse di 9,5. E quelli dipendenti arrivavano appena a 4,7 ogni mille abitanti nel 2023, con un range che varia da 3,53 della Sicilia a 6,86 della Liguria. A peggiorare lo scenario si aggiunge il crollo dell’attrattività per la professione, tra stipendi bassi, turni extralarge, condizioni di stress estremo, crescente rischio di aggressioni e scarse prospettive di carriera: per l’anno accademico 2025-2026 il rapporto tra domande presentate e posti disponibili al corso di laurea in Infermieristica è crollato infatti sotto uno a uno, a 0,92. A proposito di retribuzioni, Gimbe riporta i dati Ocse secondo cui, a parità di potere d’acquisto per i consumi privati, gli infermieri ospedalieri guadagnano in media 45.434 dollari l’anno contro oltre i 60mila dollari nei Paesi sviluppati. E i medici specialisti sfiorano i 118mila dollari contro una media Ocse sopra i 131mila.
IL DEFINANZIAMENTO DEL SSN
Alla presentazione del Rapporto, stamane, il Gimbe ha messo ancora una volta il dito nella piaga del definanziamento del Fondo sanitario nazionale (Fsn) durante il governo Meloni, dopo l’austerity e i tagli degli anni Dieci, seguiti dalle ingenti risorse assorbite dall’emergenza pandemica. In termini assoluti, nel triennio 2023-2025, il finanziamento è cresciuto di 11,1 miliardi di euro a 136,5 miliardi. Ma l’inflazione ha eroso buona parte delle risorse e a fine 2024 la percentuale di spesa sanitaria sul Pil è crollata al 6% in riferimento al 2023, dal 6,3% del 2022, per attestarsi poi al 6,1% nel 2024-2025. In pratica, si tratta di 13,1 miliardi lasciati per strada nel triennio, due in più dell’aumento in termini assoluti.
I RISCHI SUI CONTI DELLE REGIONI
Adesso, fa notare il Gimbe, il Documento programmatico di finanza pubblica (Dpfp) promette un livello di finanziamento stabile in rapporto al Pil al 6,4% nel 2025, 2027 e 2028, con una parentesi al 6,3% l’anno prossimo a causa della revisione al ribasso delle stime di crescita economica. Tuttavia, secondo la Fondazione, “la Legge di Bilancio 2025 racconta un’altra storia: la quota di Pil destinata al Fsn scenderà dal 6,1% del 2025-2026 al 5,9% nel 2027 e al 5,8% nel 2028. Questo divario tra previsione di spesa e finanziamento pubblico rischia di scaricarsi sui bilanci delle Regioni: 7,5 miliardi di euro per il 2025, 9,2 miliardi nel 2026, 10,3 miliardi nel 2027, 13,4 miliardi nel 2028”.
PIU’ SOLDI ALLA LIGURIA, IN CODA LA CAMPANIA
Ecco, le Regioni appunto. Sul riparto delle risorse, la revisione dei criteri ha favorito leggermente il Meridione, “compensando solo in parte lo svantaggio che assegna più risorse alle Regioni con popolazione più anziana”, spiega il Rapporto. Infatti, in termini di ripartizione pro-capite, nel 2024 la Liguria guida la classifica con 2.261 euro, seguita da Molise Sardegna e Umbria, tutti territori con un indice di vecchiaia elevato. Al contrario, escludendo le Province autonome, le Regioni più giovani ricevono quote pro-capite inferiori alla media nazionale: Campania (2.135 euro), Lombardia (2.154 euro), Lazio (2.164 euro) e Sicilia (2.166 euro).
BOOM DELLA SPESA PRIVATA PER LA SALUTE
In questo scenario di arretramento del Ssn, cresce ovviamente la spesa sanitaria cosiddetta out of pocket delle famiglie e avanzano i privati. Sul primo fronte, secondo dati Istat, nel 2024 abbiamo toccato i 41,3 miliardi di euro, cui si aggiungono 6,36 miliardi intermediati da fondi sanitari e assicurazioni. Quindi l’86,7% della spesa privata grava direttamente sui cittadini. Sul secondo terreno, invece, il “privato puro” ha visto crescere gli incassi dalle famiglie del 137% tra il 2016 e il 2023, passando da 3,05 miliardi a 7,23 miliardi di euro. Nello stesso periodo la spesa out of pocket per il privato accreditato è salita solamente, si fa per dire, del 45% e nel 2024 ha toccato i 28,7 miliardi, scendendo comunque al minimo storico del 20,8% sugli esborsi sanitari complessivi.
LEA: ITALIA SPACCATA IN DUE
Il Rapporto Gimbe certifica quindi un’Italia spaccata in due pure sui Livelli essenziali di assistenza: solo 13 Regioni li rispettano e al Sud si salvano solamente Sardegna, Campania e Puglia. Ne deriva che aumenta la mobilità sanitaria: oltre 5 miliardi di euro nel 2022. Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto raccolgono il 94,1% del saldo attivo, mentre il 78,8% del saldo passivo si concentra in cinque aree del Sud (Abruzzo, Calabria, Campania, Puglia, Sicilia) e nel Lazio, che registrano un segno meno oltre 100 milioni di euro.
ASSISTENZA TERRITORIALE, RIFORMA IN AFFANNO
Si tratta di uno stato di cose che dovrebbe trovare sollievo con la riforma della medicina di territorio e la spinta del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Ma anche qui ci sono molte ombre e qualche luce. In merito all’attuazione del dm 77 del 2022, il Rapporto spiega che “fatta eccezione per le Centrali operative territoriali il cui target è stato già raggiunto, al 30 giugno 2025 delle 1.723 Case della Comunità programmate, 218 (12,7%) avevano attivato tutti i servizi previsti e di queste solo 46 (2,7%) disponevano di personale medico e infermieristico”. Invece, chiosa la Fondazione Gimbe, “per gli Ospedali di Comunità, a fronte di 592 strutture programmate, solo 153 (26%) sono state dichiarate attive, per complessivi 2.716 posti letto. Quanto all’Assistenza domiciliare integrata, la copertura formale è garantita in tutte le Regioni tranne che in Sicilia (78%)”.
PNRR: SPESA IN RITARDO
A stentare, dunque, è la Missione Salute del Pnrr. Per il Rapporto mancano 14 obiettivi da raggiungere entro la scadenza ultima del 30 giugno 2026. Dal monitoraggio Gimbe emerge che quattro target sono in anticipo o già completati (ristrutturazioni degli ospedali, assistenza domiciliare per gli over 65, grandi apparecchiature, contratti di formazione specialistica), altri cinque non sono valutabili per carenza informativa e due sono i target che presentano ritardi. Tra gli altri, pesano gli interventi di antisismica sulle strutture sanitarie: al 25 febbraio scorso, risultavano attivi o conclusi 86 cantieri, ma la spesa totale non raggiungeva l’11% del finanziamento e al Sud si fermava al 6% circa.
“SALUTE INVESTIMENTO STRATEGICO”
Dopo i numeri, le idee e le proposte. Per Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, “siamo testimoni di un lento ma inesorabile smantellamento del Servizio sanitario nazionale, che spiana inevitabilmente la strada a interessi privati di ogni forma”. Dunque, adesso serve “una scelta politica netta: considerare la salute un investimento strategico del Paese o continuare a trattarla come un costo da comprimere”. Il piano di rilancio della Fondazione punta a “rafforzare e innovare quel modello di Ssn istituito nel 1978, finanziato dalla fiscalità generale e basato su princìpi di universalità, uguaglianza ed equità, al fine di garantire il diritto costituzionale alla tutela della salute a tutte le persone”. Ma perché questo Piano sia attuabile, per Gimbe è necessario “un patto politico che superi ideologie partitiche e avvicendamenti di governo, riconoscendo nel Ssn un pilastro della democrazia, uno strumento di coesione sociale e un motore di sviluppo economico”.
Sempre più vicini ai nostri lettori.
Segui Nursind Sanità anche su Telegram