13 Ottobre 2025

Tumore al seno: sette donne su dieci temono la progressione della malattia

I risultati dei focus group coordinati dalla Fondazione IncontraDonna. "Necessaria una continuità assistenziale sul territorio e non solo nei centri ospedalieri di riferimento". I dettagli

Di NS
Tumore al seno: sette donne su dieci temono la progressione della malattia

In Italia oltre il 70% delle pazienti con tumore metastatico della mammella teme che la malattia possa progredire. Lo stesso timore interessa circa la metà dei caregiver. Da qui la necessità di avere sempre assicurato un adeguato servizio di psico-oncologia. Per accompagnare al meglio le donne colpite dal carcinoma nel loro percorso di cura, è fondamentale poter garantire una continuità assistenziale sul territorio e non solo nei centri ospedalieri di riferimento. La relazione di fiducia che le pazienti costruiscono nel tempo con medici e infermieri è percepita come insostituibile. Allo stesso tempo, molte donne avvertono il bisogno di ricevere risposte rapide a domande quotidiane che spesso trovano spazio durante le visite. La telemedicina e il teleconsulto sono strumenti che vanno utilizzati e rappresentano un prezioso aiuto che non grava ulteriormente sul lavoro dei centri oncologici. Sono queste alcune delle conclusioni dei focus group, presnetati oggi a Roma, ideati e coordinati da Fondazione IncontraDonna nell’ambito di Officina #Metastabile, il progetto ideato per la coprogettazione e l’attuazione sul territorio del “Pdta dedicato al tumore metastatico della mammella”.  I responsabili scientifici sono Andrea Botticelli (oncologo membro del Cda di Fondazione IncontraDonna e responsabile della Breast Unit del Policlinico Umberto I di Roma) e Lucia Del Mastro (professore ordinario e direttore della clinica di Oncologia Medica dell’Irccs Ospedale Policlinico San Martino, Università di Genova). 

"SI STMA CHE OLTRE 50MILA DONNE CONVIVANO CON LA MALATTIA METASTATICA"
“In Italia un numero sempre maggiore di donne (e in minima percentuale di uomini) convive con questa diagnosi di cancro avanzato – afferma Adriana Bonifacino, Fondatrice di Fondazione IncontraDonna -. Nel 2024, su 53.686 nuove diagnosi, il 6-7% è stato diagnosticato come metastatico all’esordio, pari a circa 3.500 casi. Si stima che complessivamente siano oltre 50.000 le persone che convivono con la malattia metastatica ma il dato resta incerto: è urgente dotarci di indicatori oncologici nazionali che permettano di misurare con precisione la realtà e garantire risposte adeguate. L’innovatività farmacologica sta contribuendo ad aumentare la sopravvivenza e, in alcuni casi, la regressione della malattia metastatica ma vivere più a lungo impone di garantire una buona qualità di vita. Il nostro progetto evidenzia diversi bisogni ancora insoddisfatti e sottolinea la priorità di definire un Percorso diagnostico terapeutico assistenziale specifico per la forma più avanzata di carcinoma mammario. Negli ultimi anni il trattamento della neoplasia ha conosciuto un’evoluzione rapida e significativa: le terapie innovative stanno incrementando le possibilità di cura contribuendo a migliorare sia la sopravvivenza globale sia quella libera da progressione. È essenziale che tutte le persone colpite in un’ottica di equità, ovunque vivano, abbiano accesso alle medesime opportunità di cura e assistenza, con attenzione alla qualità della vita”. 

L'ASSISTENZA SUL TERRITORIO
“È responsabilità delle istituzioni impegnate nell’ambito sanitario – dichiara Americo Cicchetti, commissario straordinario Agenas – garantire a tutte le pazienti pari opportunità di accesso alle cure, indipendentemente dal luogo in cui vivono. Questo principio deve valere anche per le donne con tumore al seno metastatico, un campo in cui stiamo finalmente assistendo a un’importante evoluzione delle terapie e delle possibilità di trattamento. Più in generale, come Agenzia, siamo impegnati a creare i presupposti per un costante potenziamento dei servizi di assistenza ai cittadini anche alla luce delle innovazioni cliniche e organizzative emerse negli ultimi anni, così da assicurare percorsi di cura sempre più appropriati, integrati e centrati sulla persona”.

GLI INTERVENTI PSICO-ONCOLOGICI
“Una diagnosi di cancro porta quasi sempre un forte senso d’incertezza per il proprio futuro – sostiene Anna Costantini, Past President e Consigliera Nazionale SIPO (Società Italiana di Psico-Oncologia) -. Nelle pazienti che vivono con le metastasi il timore per la progressione di malattia presenta un impatto significativo sulla qualità della vita ed è presente in circa il 72% dei casi e costituisce un bisogno non corrisposto nell’assistenza sanitaria. Si caratterizza per la paura di morire, di soffrire e di rappresentare un peso per i propri cari. Non costituisce di per sé una reazione irrazionale ma se si manifesta in forma grave può evolvere in un disturbo psicopatologico come una depressione clinica e interferire con il benessere e la qualità della vita. Queste reazioni vanno portate all’attenzione dell’intero team che prende in carico la paziente attraverso screening rapidi dedicati, dal momento che le forme gravi non migliorano senza interventi psico-oncologici specialistici di provata efficacia. Certamente una comunicazione chiara e onesta, da parte di tutti i medici, e un accesso a informazioni certificate ed affidabili possono altresì aiutare le pazienti a sentirsi più consapevoli e meno spaventate”.

DALL'OSPEDALE AL TERRITORIO
“All’innovazione terapeutica deve accompagnarsi un’innovazione organizzativa centrata sui bisogni delle persone – aggiunge Nicola Silvestris, segretario nazionale Aiom (Associazione italiana di oncologia medica) -. È necessario un 'decentramento dell’assistenza' che dall’ospedale deve andare verso la medicina del territorio. La vicinanza fisica ai luoghi di cura ed assistenza rappresenta un grande vantaggio per pazienti e caregiver. Il tumore del seno metastatico è una patologia molto complessa ma è tuttavia possibile ricevere alcune terapie fuori dal reparto oncologico ospedaliero. Lo stesso può accadere per molte prestazioni diagnostiche che possono essere effettuate in strutture sanitarie territoriali più vicine al domicilio della donna. Bisogna garantire determinati e adeguati standard qualitativi ma la territorializzazione delle cure, se ben integrata e coordinata con i centri di riferimento, può offrire risposte concrete ai bisogni quotidiani”.

 

 

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