15 Ottobre 2025

Manovra: numeri, piani e incognite di una sanità in crisi strutturale

Il governo prova a snocciolare gli zeri per esibire l'attenzione al settore. Ma pesa il delta tra la dinamica della spesa e quella del finanziamento. Anche il programma di assunzioni è a rischio

Di U.S.V.
Manovra: numeri, piani e incognite di una sanità in crisi strutturale

Da una parte i numeri incastonati nelle tabelle e i piani draconiani del governo. Dall’altra la dura realtà delle professioni sanitarie, sempre più bistrattate e sempre meno attrattive per i giovani. A pochi giorni dall’arrivo della manovra, il Mef prova a snocciolare con generosità gli zeri per lasciar intendere che il settore salute non ha mai ricevuto tanta attenzione dalla politica. Ecco allora che nel giorno del varo del Documento programmatico di bilancio escono 2,4 miliardi di euro in più l’anno prossimo al Fondo sanitario nazionale, che diventano 5,3 miliardi cumulati nel biennio successivo. Risorse che l’esecutivo somma con enfasi ai finanziamenti derivati già dalla scorsa legge di Bilancio.

Tuttavia, la realtà, come ha messo in risalto pochi giorni fa la Fondazione Gimbe, è che il delta tra la spesa sanitaria e il rifinanziamento del Fsn, nelle carte dello stesso governo, rischia di pesare per oltre 30 miliardi da qui al 2028. Un aggravio che potrebbe affossare i bilanci delle Regioni. Il ministro della Salute Orazio Schillaci intanto punta a circa 20mila assunzioni tra medici, infermieri e tecnici sanitari nel prossimo triennio, di cui un terzo nel 2026. Eppure, il programma di reclutamento sembra già ridimensionarsi rispetto alle prime stime, senza contare che soltanto considerando gli infermieri c’è una carenza di almeno 60-65mila unità (ma alcune valutazioni danno numeri molto più alti). E non basterà uno schiocco di dita per trovarli.

La crisi delle vocazioni, chiamiamole così, è enorme: i giovani fuggono dalla professione e per la prima volta quest’anno i posti disponibili hanno superato le domande ai corsi di laurea in Infermieristica, al netto delle ricadute del “semestre filtro" a Medicina (più del 20% degli iscritti ha espresso Infermieristica come prima opzione). Senza dimenticare gli infermieri che si cancellano dall’albo, al ritmo di 10mila l’anno, o che migrano verso il privato oppure si traferiscono all’estero, oltre 43mila negli ultimi quattro anni.

L’altro fronte riguarda invece le retribuzioni e gli incentivi a lavorare nella sanità pubblica. Per i medici è atteso adesso un incremento mensile medio lordo di 220 euro dell’indennità di specificità, oltre a un bonus annuale da 246 a 1.825 euro lordi per chi lavora in esclusiva nel Ssn. Per gli infermieri la stessa indennità dovrebbe crescere di 110 euro lordi mensili e si dovrebbe sbloccare in modo concreto la possibilità di esercitare la libera professione fuori dall’orario di lavoro nel pubblico.

Rimane il fatto che, a parità di potere d’acquisto, l’operatore italiano guadagna in media 45.434 dollari l’anno contro gli oltre 60mila dollari nei Paesi Ocse. Mentre i medici specialisti sfiorano i 118mila dollari contro una media Ocse sopra i 131mila. Non solo, per gli infermieri stentano anche le prospettive di carriera, dato che dal punto di vista sostanziale la nuova area contrattuale dell’Elevata qualificazione rimane in gran parte una promessa mancata. Ecco allora i motivi per cui i piani dell’esecutivo rischiano di restare ancora una volta lettera morta.

 

 


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