06 Novembre 2025

Manovra e sanità: le audizioni diventano un calvario per il governo

Di fronte alle commissioni Bilancio pioggia di numeri negativi e critiche da Istat, Upb e persino dal Cnel di Brunetta (ma per iscritto). Più morbida, per una volta, la Corte dei conti. Giorgetti in trincea: "Abbiamo anche rimediato ai disastri passati"

Di U.S.V.
Manovra e sanità: le audizioni diventano un calvario per il governo

Nel giorno di chiusura delle audizioni sulla manovra, il terreno sanitario diventa un campo minato per il governo. Piovono critiche da tutte le istituzioni ascoltate sulle scelte e sui saldi della legge di Bilancio in materia di salute, così a fine giornata il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti deve armarsi di scudo e parole affilate per parare i colpi e provare a rispondere in modo convincente nel merito.

ISTAT: 1,3 MLN DI ITALIANI IN PIU’ RINUNCIANO ALLE CURE
Parte subito l’Istat con una bordata che scatena le reazioni delle opposizioni: "Nel 2024 il 9,9% delle persone ha dichiarato di aver rinunciato a curarsi per problemi legati alle liste di attesa, alle difficoltà economiche o alla scomodità delle strutture sanitarie: si tratta di 5,8 milioni di individui, a fronte di 4,5 milioni nell'anno precedente (7,6%)". I numeri del presidente dell’istituto, Francesco Maria Chelli, sono impietosi, soprattutto se si considera l’impegno che l’esecutivo ha cercato di profondere nell’ultimo anno per accorciare i tempi di visite ed esami, una sorta di imperativo categorico nelle politiche della premier Giorgia Meloni e del ministro della Salute Orazio Schillaci.

“LISTE D’ATTESA PRIMA EMERGENZA”
Chelli poi aggiunge: "La rinuncia a causa delle lunghe liste di attesa costituisce la motivazione principale, indicata dal 6,8% della popolazione, e risulta anche la componente che ha fatto registrare l'aumento maggiore negli ultimi anni: era il 4,5% nel 2023 e il 2,8% nel 2019. Nel 2024 il problema ha interessato il 6,9% dei residenti nel Nord, il 7,3% nel Centro e il 6,3% nel Mezzogiorno; rispetto a cinque anni fa i valori risultano decisamente più elevati: nel 2019 la quota era 2,3% al Nord, 3,3% al Centro e 3,1% nel Mezzogiorno”. E chiosa che si tratta di un fenomeno “più diffuso tra le donne (7,7%) sia nelle età centrali (9,4% a 45-64 anni) che in quelle avanzate (9,2% a 65 anni e più)”.

UPB: “MANCA FOCUS SU PRIORITA’”
Si passa all’Ufficio parlamentare di bilancio e la musica non suona certo più dolce per il governo e per i commissari di maggioranza. La presidente Lilia Cavallari evidenzia che dalle misure per il settore sanitario “non emerge una chiara indicazione di priorità nell'azione per il consolidamento del Ssn, in quanto le risorse sono distribuite su molti obiettivi e a favore di un ampio spettro di stakeholder”. Insomma, come a dire che se l’emergenza è la carenza di personale e soprattutto di infermieri, priorità dichiarata anche per Schillaci, la manovra non concentra realmente il suo impegno per alleviarla, ma spara un po’ nel mucchio.

“ESCLUSI I MEDICI DI FAMIGLIA”
Poi, in relazione al piano di reclutamento, ''non è scontato che gli sforzi per accrescere l'attrattività del Ssn saranno sufficienti a rendere possibili le assunzioni necessarie a garantirne il pieno funzionamento. L'emorragia di medici e infermieri" tra uscite verso la pensione, fughe all’estero o in direzione del privato, “insieme ai nuovi fabbisogni derivanti dagli obiettivi del Pnrr, aumentano infatti le future esigenze di personale sanitario", spiega ancora l’Upb. Peraltro, secondo l’organo indipendente di monitoraggio e controllo sui conti, “restano esclusi dal campo di azione della manovra i medici di medicina generale, in assenza dell'attesa riforma volta a regolarne l'attività nelle Case della comunità, mentre appare sempre più difficile mantenere su tutto il territorio un adeguato rapporto tra medici di base e pazienti”.

“AUMENTA IL GAP TRA FINANZIAMENTO E SPESA”
Facendo due conti sulle risorse, infine, Cavallari snocciola che l’aumento del finanziamento del fabbisogno sanitario nazionale standard (2,4 miliardi per il 2026 e 2,65 miliardi annui dal 2027) porta le risorse complessive, in rapporto al Pil, al 6,1% nel 2026, 6,0% nel 2027 e 5,9% nel 2028. Una percentuale declinante, anche se in valore assoluto il finanziamento del Ssn, equivalente a 136,5 miliardi nel 2025, raggiunge i 142,9 nel 2026 (con un incremento di 6,4 miliardi, di cui circa 4 assegnati da provvedimenti precedenti), 143,9 nel 2027 e 144,8 nel 2028. Dall’altra parte, tuttavia, la spesa sanitaria corrente, in rapporto al Pil, si mantiene al 6,6% l’anno prossimo e al 6,5% nei due anni successivi. Quindi due dinamiche nettamente diverse che implicano “un aumento della distanza tra i due aggregati”. Cavallari allora precisa: “Le differenze non sono direttamente riconducibili a un concetto di disavanzo del Ssn, ma potrebbero segnalare una difficoltà crescente per i bilanci dei Servizi sanitari regionali”. Esattamente come aveva pronosticato la Fondazione Gimbe in sede di presentazione del suo ottavo Rapporto, malgrado Schillaci avesse poi cercato di sconfessare o comunque ridimensionare questa ricostruzione.

ANCHE IL CNEL STRONCA: “C’E’ IL DEFINANZIAMENTO”
Nemmeno il Cnel risparmia critiche sui conti sanitari della manovra. Malgrado la vicinanza del presidente Renato Brunetta al governo, sulla sanità l’ente non può che prendere atto del definanziamento in rapporto al Pil. L’ex ministro non ne fa menzione nell’intervento in audizione, ma andando a spulciare la più corposa memoria depositata alle commissioni Bilancio congiunte, emerge la denuncia: “Secondo i dati più recenti la spesa sanitaria pubblica si manterrà attorno al 6,3% del Pil nel 2024 per scendere progressivamente al 6%. Sebbene in termini assoluti essa cresca di circa 8 miliardi, il rapporto rispetto al Pil segnala un definanziamento”. Parole che vanno contro la narrazione di Meloni e del governo. Il Cnel continua e arriva un’altra mazzata: “Il fabbisogno aggiuntivo necessario a smaltire le liste di attesa, garantire i Lea, assumere nuovi professionisti, sostenere la digitalizzazione e investire in prevenzione e invecchiamento attivo non sembra garantito dalle risorse in manovra. In linea di massima si ritiene superato il criterio storico su cui si basa il riparto del Fondo sanitario nazionale, in quanto trascina le disuguaglianze territoriali e spinge i cittadini verso la spesa privata e la sanità integrativa, con il rischio concreto di rafforzare un sistema sanitario duale, e non universale”.

CORTE DEI CONTI: “RISPOSTA PARZIALE ALLE CRITICITA’”
Più soft le critiche della Corte dei conti, per una volta morbida dopo i recenti scontri con l’esecutivo circa il dossier Ponte sullo Stretto. Mauro Orefice, presidente di coordinamento delle Sezioni riunite in sede di controllo, sottolinea: “In tema di sanità, l’aumento delle risorse, che porta il livello di finanziamento del fabbisogno sanitario in quota Pil al 6,15% nel 2026 (rapporto che nel 2027 e 2028 si attesterebbe rispettivamente a 6,04 e 5,92), corrisponde all’impegno assunto nei documenti programmatici”. E tuttavia “consente di rispondere solo parzialmente agli interventi necessari per affrontare le criticità del settore nel cui ambito appaiono in crescita i costi per i contratti del personale, per i farmaci, per gli acquisti di prestazioni sanitarie da privati e per i dispositivi medici ed, in generale, per corrispondere alle esigenze di una popolazione sempre più anziana e con cronicità multiple che richiede risposte sempre più complesse e costose". Certo, per i giudici contabili vanno considerate “di rilievo” le disposizioni mirate a “valorizzare il personale del servizio sanitario” e sono “positive” le norme pensate per il “potenziamento delle politiche di prevenzione sanitaria”. Bene infine anche gli interventi diretti alla “integrazione delle Farmacie dei servizi come presidi territoriali di erogazione delle prestazioni sanitarie e sociosanitarie”.

GIORGETTI: "CONSIDERARE SPESA PRO CAPITE"
Dopo questo fuoco di fila, Giorgetti non può che replicare. Dapprima si rifugia nella trincea dei numeri: “Sin dal suo insediamento il governo ha assegnato risorse per il Fondo sanitario nazionale. Anche con questa manovra si stanziano nuove risorse, pari a 2,4 miliardi nel 2026 e 2,65 miliardi a decorrere dal 2027. Dal 2026 il rapporto tra spesa sanitaria e Pil salirà al 6,2%”. Quindi ecco la vera chiave, metodologica, di risposta: “Ogni confronto della spesa in relazione al Pil non può non tenere in debita compensazione il valore di tale grandezza a livello pro capite scontando gli effetti di una demografia che ha ormai imboccato la strada del tasso di sostituzione negativo".

“CON 7 MLD IN PIU’ RIFIUTO L’IDEA CHE MANCHINO SOLDI”

Poi il tono del ministro si fa più stentoreo: “Non entro nel merito della politica sanitaria ma rifiuto l'idea che non siano stati fatti stanziamenti adeguati negli anni scorsi e soprattutto quest'anno, che ci sono 7 miliardi in più”. Giorgetti precisa che “non saremo disposti a barattare le spese per la sanità con quelle per la difesa che seguono un percorso autonomo” e rimanda la palla al lavoro parlamentare rispetto all’ipotesi di incrementare il prelievo sugli istituti di credito: “Noi abbiamo fatto il contributo delle banche per finanziare la sanità, ad esempio. Io non so cosa il Parlamento ha in mente, vediamo gli emendamenti”. Infine, piccato: “Che la domanda sia profondamente cambiata e che il costo aumenti è indubbio, ma non che questo governo non abbia fatto cose eccezionali nell'ordinario e anche per rimediare a disastri passati come il payback”.


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