19 Novembre 2025

Antimicrobico resistenza, l'allarme Onsar: "Manca una strategia organizzata"

Nella Settimana mondiale dedicata alla consapevolezza circa l'Amr, il presidente dell'Osservatorio, Ricciardi, attacca: "Tutto noto, tutto fermo. E l'Italia ha da sola il 30% della mortalità europea". Ecco i sei patogeni chiave e l'impatto sui territori

Di NS
Foto di Michal Jarmoluk
Foto di Michal Jarmoluk

L’Italia resta tra i Paesi europei con i livelli più elevati di resistenze batteriche. Nella Settimana mondiale dedicata alla consapevolezza sull’antimicrobico resistenza (Amr), l’allarme arriva da Walter Ricciardi, docente di Igiene pubblica all’Università Cattolica e presidente di Onsar, l’Osservatorio nazionale sull’antimicrobico resistenza. Durante un evento a Roma, l’esperto spiega: “Tutto noto, tutto fermo. Nessun passo verso una strategia organizzata”. Il nodo è “epocale per il nostro Paese che ha da solo il 30% della mortalità europea – aggiunge Ricciardi –. Occorre mettere intorno a un tavolo politici, manager, professionisti, cittadini, media, industrie, per cercare di varare un obiettivo ambizioso, dando la possibilità che sia concretamente raggiunto. I piani senza esecuzione sono allucinazioni. Serve un controllo dei risultati. Non bastano le dichiarazioni d’intenti”.

I numeri confermano appunto una situazione di alta criticità. Nel quadro mondiale, l’Amr causa 4,71 milioni di decessi associati e 1,14 milioni direttamente attribuiti alle infezioni resistenti (2021). L’Oms prevede che entro il 2050 la resistenza antimicrobica potrebbe diventare una delle principali cause di morte al mondo, fino a 10 milioni di decessi l’anno. In Europa, ogni anno si registrano circa 670mila infezioni e 33mila decessi direttamente attribuibili ad Amr. Di questi, un terzo di tutti i decessi in Ue sono italiani (circa 11mila). 

Non a caso, in Italia il trend è in crescita e il consumo di antibiotici resta elevato rispetto alla media Ue, sia nel settore umano che veterinario. Nel confronto europeo il consumo complessivo di antibiotici a livello territoriale colloca l’Italia al settimo posto tra i Paesi con i maggiori consumi, con livelli superiori alla media europea di oltre il 15%. Peraltro, gli ambienti ospedalieri, l’agricoltura intensiva e la trasmissione ambientale facilitano la diffusione di ceppi multiresistenti.

Alessandro Solipaca, direttore scientifico di Onsar, sottolinea come ci siano ancora troppe differenze territoriali: mentre molte Regioni del Nord mostrano riduzioni importanti e una migliore capacità di diagnosi, il Centrosud continua a registrare valori critici e una copertura dei dati disomogenea, che contribuisce a una sottostima della reale incidenza delle infezioni resistenti. Solipaca evidenzia poi come quasi la metà della popolazione geriatrica ne faccia uso almeno una volta l’anno, con punte di oltre il 60% al Sud e che dai dati risulta un’impennata di prescrizioni in età pediatrica.

Nonostante alcuni segnali positivi in singole aree, il quadro generale resta segnato da ritardi strutturali, mancanza di trasparenza sui dati da parte di numerosi ospedali e una forte disomogeneità regionale che impedisce al Paese di rispondere in modo uniforme ed efficace alla sfida dell’Amr. Il Piano nazionale di contrasto all’antimicrobico resistenza (Pncar) è stato prorogato al 2026, poiché sette macro-obiettivi su otto non sono stati raggiunti nei tempi previsti. La sorveglianza Ar-Iss (Antibiotico resistenza - Istituto superiore di sanità) che dal 2001 monitora l’antibiotico-resistenza in Italia attraverso una rete di laboratori ospedalieri di microbiologia ha evidenziato sei patogeni chiave.

In primis la Klebsiella pneumoniae resistente ai carbapenemi (Crkp): tasso nazionale 26,5%, oltre il doppio della media UE (13,3%). Sicilia 58,4%, Calabria 48,6%, Umbria 45,1%. Poi l’Acinetobacter spp. (Cras): resistenza nazionale 75,8%, con picchi oltre il 90% in alcune Regioni del Centro-Sud (Abruzzo 97,4%). L’Enterococcus faecium (Vre): resistenza al 32,5%, massimo storico italiano e tra i più alti in Europa (media UE 19,8%). Umbria 68%, Molise 46,2%, Abruzzo 44,2%. Lo Staphylococcus aureus resistente alla meticillina (Mrsa): 26,6% a livello nazionale, con riduzioni nel Nord e Centro e valori ancora molto elevati nel Sud (Molise 38,6%). L’E. coli resistente alle cefalosporine di terza generazione: dato nazionale 26,7%, con incrementi recenti nel biennio 2022–2023 (+10,3%). Molise 39,8%, Sicilia 39,1%. La Pseudomonas aeruginosa resistente ai carbapenemi (Crpa): trend nazionale in miglioramento (16%), ma con punte elevate in diverse Regioni del Centro-Sud (Abruzzo 26,8%, Lazio 25,7%, Campania 24,8%).

Federico Serra, direttore generale Planetary Health – Inner Circle, ha evidenziato la posizione dell’Italia rispetto agli altri Paesi europei e al contesto globale, sottolineando l’urgenza di politiche più efficaci e di una governance nazionale più forte. A tal proposito ha dichiarato che “gli antibiotici sono stati una grandissima scoperta dal punto di vista farmaceutico ma oggi diventano un problema nell’autoprescrizione e che il problema è planetario ed è necessario un approccio integrato”.

Dal confronto è emerso che l’Italia è in ritardo non solo nei trend microbiologici, ma anche per problematiche sistemiche come assenza di trasparenza da parte di molte strutture ospedaliere, laboratori non uniformi tra le Regioni, ritardi nell’applicazione dei protocolli di infection control, mancata integrazione dei livelli istituzionali nel modello One Health, assenza di un monitoraggio nazionale che renda comparabili le performance regionali, carenze nella formazione e nel governo del rischio infettivo. È necessario dunque un cambio di passo significativo, che consenta di superare queste criticità strutturali attraverso interventi chiari, coordinati e misurabili, in grado di garantire trasparenza, omogeneità operativa e una piena integrazione nel modello One Health.


Le slide con i dati

 

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