26 Novembre 2025

Il nostro Ssn arretra ed è boom del privato puro

La spesa delle famiglie fuori dal regime pubblico in 7 anni è schizzata a +137%. I dati Gimbe. La Fondazione: "Ecco come invertire la rotta"

Di NS
Foto di kelvin balingit
Foto di kelvin balingit

Più si va avanti e più il Servizio sanitario nazionale arretra. A vantaggio del privato. Con una spesa a carico delle famiglie che aumenta insieme a una quota sempre maggiore di cittadini che rinuncia a curarsi: dal 2022 al 2024 oltre 1,7 milioni di persone hanno fatto a meno di prestazioni sanitarie. Ma non finisce qui. La tendenza degli ultimi sette anni, infatti, parla chiaro e rivela un boom del privato puro (non del privato convenzionato) con +137% di spesa out-of-pocket. Sono i dati dell’analisi indipendente sull’ecosistema dei soggetti privati in sanità e sulla privatizzazione strisciante del Ssn condotta dal Gimbe e presentata al 20esimo Forum Risk Management di Arezzo.

PRIVATIZZAZIONE DELLA SPESA
Nel 2024 la spesa sanitaria a carico dei cittadini (out-of-pocket) ammonta a € 41,3 miliardi, pari al 22,3% della spesa sanitaria totale: percentuale che da 12 anni supera in maniera costante il limite del 15% raccomandato dall’Oms, soglia oltre la quale sono a rischio uguaglianza e accessibilità alle cure. In Italia la spesa out-of-pocket in valore assoluto è cresciuta da 32,4 miliardi di euro del 2012 a 41,3 miliardi di euro del 2024, mantenendosi sempre su livelli compresi tra il 21,5% e il 24,1% della spesa totale (figura 1). "Con quasi un euro su quattro di spesa sanitaria sborsato dalle famiglie – osserva il presidente Gimbe, Nino Cartabellotta – oggi siamo sostanzialmente di fronte a un servizio sanitario 'misto', senza che nessun governo lo abbia mai esplicitamente previsto o tantomeno dichiarato. Peraltro, la spesa out-of pocket non è più un indicatore affidabile delle mancate tutele pubbliche, perché viene sempre più arginata dall’impoverimento delle famiglie: le rinunce alle prestazioni sanitarie sono passate da 4,1 milioni nel 2022 a 5,8 milioni nel 2024”. In altre parole, la spesa privata non può crescere più di tanto perché nel 2024 secondo l'Istat 5,7 milioni di persone vivevano sotto la soglia di povertà assoluta e 8,7 milioni sotto la soglia di povertà relativa.


CHI INCASSA I SOLDI

Chi incassa la spesa a carico dei cittadini? Nel 2023, anno più recente a disposizione, i 43 miliardi di euro di spesa sanitaria privata sono così suddivisi: 12,1 miliardi alle farmacie, 10,6 miliardi a professionisti sanitari (di cui 5,8 miliardi odontoiatri e 2,6 miliardi ai medici), 7,6 miliardi alle strutture private accreditate e 7,2 miliardi al privato 'puro', ovvero alle strutture non accreditate e 2,2 miliardi alle strutture pubbliche per libera professione e altro. "Questi numeri – osserva Cartabellotta – fotografano con chiarezza che la privatizzazione della spesa sta determinando una progressiva uscita dei cittadini dal perimetro delle tutele pubbliche, acquistando direttamente sul mercato le prestazioni necessarie".

IL PRIVATO CONVENZIONATO
Secondo l'annuario statistico del ministero della Salute, nel 2023 delle 29.386 strutture sanitarie censite, il 58% (n. 17.042) sono strutture private accreditate e il 42% (n. 12.344) strutture pubbliche (tabella 3). Il privato accreditato prevale ampiamente in varie tipologie di assistenza: residenziale (85,1%), riabilitativa (78,4%), semi-residenziale (72,8%) e, in misura minore, nella specialistica ambulatoriale (59,7%).
Dal punto di vista finanziario, nel periodo 2012-2024 la spesa pubblica destinata al privato convenzionato è aumentata di 5.333 milioni di euro (+ 22,8%), passando da  23.376 milioni nel 2012 a  28.709 milioni nel 2024. Ma questa crescita in valore assoluto non si è tradotta in un maggiore peso percentuale sulla spesa sanitaria totale: l’incidenza è rimasta stabile fino al 2019 e, a partire dal 2020, ha iniziato a ridursi fino a toccare nel 2024 il minimo storico del 20,8%. "Questo dato – commenta Cartabellotta – da un lato documenta la sofferenza del privato convenzionato, dall’altro dimostra scelte politiche poco lungimiranti. Infatti, diverse Regioni hanno favorito un’eccessiva espansione del privato accreditato senza disporre di risorse adeguate, visto che l’imponente definanziamento del SSN ha mantenuto ferme le tariffe di rimborso delle prestazioni. Ne sono derivati squilibri strutturali e tensioni ricorrenti su tetti di spesa e convenzioni, spesso ridimensionate nei volumi o, addirittura, interrotte". Nel 2023, ultimo dato disponibile della Ragioneria generale dello Stato, la quota di spesa pubblica destinata al privato convenzionato supera la media nazionale (20,3%) in 6 Regioni, con valori compresi tra il 22% della Puglia e il 29,3% del Lazio. Nelle restanti 15 Regioni la percentuale oscilla dal 18,9% della Calabria al 7,7% della Valle d’Aosta. Da rilevare che ad utilizzare più risorse per il privato convenzionato sono le Regioni in Piano di rientro, che registrano una quota del 23,9%, rispetto al 18,9% delle Regioni non in Piano di rientro e all’11,7% delle Autonomie speciali, Sicilia esclusa.

IL PRIVATO NON CONVENZIONATO
C’e poi il privato puro. Si tratta di strutture sanitarie, prevalentemente di diagnostica ambulatoriale, che erogano prestazioni esclusivamente in regime privato, senza alcun rimborso a carico della spesa pubblica. Negli ultimi anni è questo settore a registrare la crescita più marcata: tra il 2016 e il 2023 la spesa delle famiglie verso le strutture non convenzionate è aumentata del 137%, passando da € 3,05 miliardi a € 7,23 miliardi, con un incremento medio di circa € 600 milioni l’anno. Nello stesso periodo la spesa delle famiglie per il privato accreditato è cresciuta solo del 45%; di conseguenza il netto divario tra spesa delle famiglie verso il privato 'puro' e verso il privato convenzionato si è praticamente azzerato passando da 2,2 miliardi di euro nel 2016 a soli 390 milioni di euro nel 2023. “Tra i fenomeni di privatizzazione – sottolinea il numero uno del Gimbe – la dinamica più preoccupante è dunque la velocità di crescita del privato puro. Infatti, mentre il dibattito pubblico continua ad avvitarsi sul ruolo del privato convenzionato, la cui incidenza sulla spesa sanitaria si è addirittura ridotta, i dati documentano la crescita esponenziale della spesa out-of-pocket verso il privato puro. Non trovando risposte tempestive nel pubblico né nel privato accreditato, chi può pagare cerca altrove ed esce definitivamente dal perimetro delle tutele pubbliche”. Questo circuito, insieme all’intramoenia, rappresenta infatti l’unica scappatoia per il cittadino intrappolato nelle liste di attesa.

GLI ALTRI ATTORI PRIVATI
Ma non finisce qui. Mentre aumenta anche il numero di fondi di investimento, assicurazioni, gruppi bancari e società che, stimolati da trend di lungo periodo come l’invecchiamento della popolazione e l’aumento delle cronicità, vedono nella sanità un settore ad alta redditività, sul fonte della spesa, come documenta Gimbe, infatti, crescono pure i cosiddetti 'terzi paganti', che popolano un ecosistema complesso composto da fondi sanitari, casse mutue, compagnie assicurative, imprese, enti del terzo settore e altre realtà non profit. Nel 2024, secondo i dati Istat-Sha, la spesa sostenuta da questi soggetti ha raggiunto 6,36 miliardi di euro, con un incremento di oltre 2 miliardi nel triennio post-pandemia. "Va ribadito – spiega il presidente – che ai fondi sanitari integrativi e al welfare aziendale viene riconosciuta una defiscalizzazione il cui impatto sulla finanza pubblica non è mai stato reso pubblico, né è calcolabile. Ma che rappresenta, indirettamente, uno strumento di privatizzazione occulta, visto che dirotta risorse pubbliche prevalentemente verso soggetti privati". Peraltro, dopo una fase di grande entusiasmo, le potenzialità della sanità integrativa risultano fortemente ridimensionate nell’attuale contesto di crisi del Ssn. Con quasi 12 milioni di iscritti nel 2023, i fondi sanitari devono rimborsare un numero crescente di prestazioni che la sanità pubblica non riesce più a garantire. E questo squilibrio ne compromette la sostenibilità: più il Ssn arretra, più aumenta la richiesta di rimborsi e l’intero sistema fatica a reggere. "La sanità integrativa – avverte Cartabellotta – può funzionare solo se integra un sistema pubblico forte. Se invece è chiamata a sostituirne le carenze, rischia di affondare insieme al Sns".

LA PROPOSTA GIMBE
La Fondazione Gimbe ribadisce che è ancora possibile invertire la rotta. Come? Con un consistente e stabile rilancio del finanziamento pubblico, un 'paniere' di Livelli essenziali di assistenza compatibile con l’entità delle risorse assegnate, un secondo pilastro che sia realmente integrativo rispetto al Ssn ed eviti di dirottare fondi pubblici verso profitti privati e alimentare derive consumistiche, un rapporto pubblico-privato governato da regole pubbliche chiare sotto il segno di una reale integrazione e non della sterile competizione. "Solo intervenendo su questi assi strategici – conclude Cartabellotta – sarà possibile restituire al Ssn il ruolo che la Costituzione gli assegna: garantire a tutte le persone il diritto alla tutela salute, indipendentemente dal reddito, dal CAP di residenza e dalle condizioni socio-culturali. Perché di fronte alla malattia siamo tutti uguali solo sulla Carta. Ma nella vita di tutti i giorni si moltiplicano inaccettabili diseguaglianze che un Paese civile non può accettare".

 

 

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