"Al San Raffaele infermieri della coop catapultati senza affiancamento"
Romina Iannuzzi, responsabile nazionale Nursind per la sanità privata, analizza con Nursind Sanità le ragioni del caos nella struttura milanese: "Pesa la carenza di professionisti. In un reparto ad alta intensità serve tempo per imparare"
La notte di un ponte festivo, con i reparti ospedalieri che fisiologicamente sono più sguarniti di personale. La nostra sanità (non solo quella pubblica) che, in generale, si spopola, soprattutto quando si parla di infermieri. Il ricorso più o meno emergenziale a cooperative esterne. Sono questi gli ingredienti alla base del patatrac che ha coinvolto il San Raffele di Milano nella prime ore del giorno di Sant’Ambrogio, in particolare il padiglione di cure intensive, il cosiddetto Iceberg.
Nel mirino finisce allora la presunta inesperienza del personale infermieristico catapultato da fuori tramite una coop. Si parla di mancata conoscenza delle procedure, del nosocomio, persino dei farmaci e della lingua italiana, perché molti dei professionisti sono extracomunitari. Una disorganizzazione che ha impattato sull’assistenza, mandando in tilt la struttura e mettendo a rischio, secondo le accuse, la sicurezza dei pazienti.
Ma la colpa è dei professionisti che si trovano scaraventati in un contesto nuovo senza un periodo di formazione e tutoraggio? Oppure è di chi li gestisce? Romina Iannuzzi, responsabile nazionale del sindacato degli infermieri Nursind per la sanità privata, ne parla con Nursind Sanità e modifica un po’ la prospettiva: “L’emorragia al San Raffaele dura da un po’ di anni. Ma il colpo di grazia è arrivato negli ultimi mesi, dall’estate in poi, quando sono andati via la coordinatrice e altri 16 infermieri. A quel punto il reparto si è dissolto. Al management contestiamo l’inserimento dei colleghi della cooperativa senza affiancamento, catapultati in pratica senza avere accanto un infermiere senior. In un reparto ad alta intensità di cure serve tempo per assumere padronanza di farmaci e protocolli”.
Non a caso, un precipitoso Consiglio di amministrazione ha votato all’unanimità la procedura di revoca nei confronti di Francesco Galli, amministratore unico dell’Irccs. Il manager, saputo dell’avvio dell’iter, due giorni fa ha comunicato le proprie dimissioni ed è stato sostituito da Marco Centenari, subentrato nel duplice ruolo di ad del Gruppo San Donato e amministratore unico del San Raffaele. La struttura, intanto, sta cercando di reclutare nuovo personale, ma il riscontro è scarso. In generale, pesa la carenza di infermieri a livello nazionale, lo si nota anche dal calo di iscrizioni ai corsi di laurea. Ma la Lombardia e in particolare Milano soffrono al tempo stesso di una desertificazione collegata al costo della vita, a partire dagli affitti. Gli stipendi non stanno dietro alla dinamica dei prezzi e quindi i posti nei presidi regionali sono poco appetibili per gli infermieri.
Iannuzzi ci mette il carico: “Le condizioni di lavoro al San Raffaele erano già da tempo insopportabili: doppi turni, salti di riposo, situazioni di burnout. Molti infermieri negli ultimi tre o quattro anni sono andati verso il pubblico. Nel caso degli ultimi 17, invece, la gran parte ha traslocato in una Rsa, dunque ancora sanità privata. A parità di contratto, tuttavia, ha pesato nella scelta uno status professionale più tranquillo”.
La responsabile Nursind evidenzia ulteriormente: “Il San Raffaele non riesce a trovare infermieri nemmeno con il contratto degli strutturati, che offre buone condizioni, seppur scaduto. Dunque, il centro ha ripiegato sulla cooperativa, che offre lavoro a basso costo”. Quegli infermieri, infatti, vengono pagati con il contratto delle coop sociali, “che ha 500 euro di differenza di paga base rispetto all’infermiere del San Raffaele”, chiarisce Iannuzzi. In quelle ore di caos, comunque, la situazione è precipitata a tal punto che alcuni dei professionisti reclutati dall’esterno si sono dimessi.
Si è accennato poi al problema della lingua, collegato alla presenza di infermieri extracomunitari. La sindacalista rivela: “Normalmente il privato fa più controlli del pubblico sui requisiti degli infermieri stranieri assunti, a partire dalla conoscenza della lingua. Adesso, con questa emergenza costante, le verifiche sono venute meno”. Sarà, ma intanto nella bufera delle polemiche sono finte pure le procedure ereditate dal Covid che in sostanza permettono, con una deroga fino al 2027 inserita nel decreto Flussi del 2024, di autocertificare i titoli per chi proviene dall’estero.
Non esistono numeri precisi, ma una stima risalente alla pandemia riferisce di almeno 5mila operatori della salute assunti tramite questo meccanismo. Un sistema di regole che rimane legale, anche se sentenze dei Tar di Veneto e Lombardia hanno già messo in risalto un rischio di irregolarità nella gestione regionale della stessa deroga. Non a caso, in queste ore l’Ordine dei medici di Milano attacca parlando di “un sistema parallelo privo delle garanzie essenziali per la sicurezza delle cure”, una norma che dunque “va cancellata ora, non domani”.
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